Governo Draghi, forma e sostanza
Il 12 febbraio, al termine di una settimana di consultazioni e dopo aver ottenuto l'appoggio delle principali forze politiche (solo Fratelli d'Italia resterà all'opposizione), Mario Draghi ha formalmente accettato il mandato del Presidente della Repubblica di formare un Governo di unità nazionale.
È la quarta volta che accadde negli ultimi trent'anni: nel 1993 l'incarico venne attribuito a Ciampi, nel 1995 a Dini e nel 2011 a Monti.
A differenza dei suoi predecessori, però, l'ex Presidente della BCE ha presentato una lista di ministri con una nutrita schiera di esponenti politici, ben più numerosi rispetto ai tecnici.
A nostro avviso, si tratta di una scelta particolarmente opportuna, non solo perché massimizza l'interesse delle parti più coinvolte (i partner europei e i partiti italiani), ma per le implicazioni sulla stabilità e l'efficacia dell'azione di Governo. Da una parte, infatti, offre garanzie circa un uso efficiente e produttivo delle risorse del Recovery Fund, dall'altra fornisce ai politici una visibilità senz'altro molto gradita.
In particolare, la decisione di attribuire a tecnici estremamente qualificati come Daniele Franco e Marta Cartabia le posizioni più strategiche aumenta la probabilità che l'Italia possa liberare parte del suo potenziale di crescita reale (come sottolineato in altre note, sarebbe sufficiente impiegare proficuamente 40-50 miliardi per raddoppiare la crescita potenziale entro dieci anni, da 0,5% a 1,0%). I possibili progressi sul fronte delle riforme strutturali (specie a livello del sistema giudiziario e della Pubblica Amministrazione) potrebbero peraltro amplificare e rendere durevoli i benefici.
Nel contempo, la scelta di soddisfare le esigenze di visibilità e coinvolgimento dei partiti aumenta la probabilità che il Governo raggiunga la fine della legislatura, nel 2023. Sarebbe infatti politicamente costoso per un partito ritirare l'appoggio a un esecutivo popolato delle sue figure più senior e degli alleati strategici. A maggior ragione per la Lega: due tentativi di provocare la caduta del Governo in 18 mesi non sarebbero visti con favore dagli elettori, specie nelle regioni settentrionali, tradizionalmente favorevoli a governi business-oriented quale si delinea essere quello presieduto da Draghi.
Uno dei temi più discussi fra gli analisti politici è il confronto fra il Governo Draghi e l'esperienza di Mario Monti. In realtà, le differenze nel contesto politico, macroeconomico e finanziario sono profonde. Oggi né i partner europei né i mercati chiedono misure di austerità: questo dovrebbe permettere a Draghi di mantenere il consenso popolare e ridimensiona il rischio che i partiti adottino comportamenti opportunistici per assecondare un'eventuale disaffezione dell'elettorato.
Un'altra questione molto dibattuta è la replicabilità dell'esperienza di Ciampi, che venne eletto Presidente della Repubblica mentre ricopriva la carica di Ministro delle Finanze. A nostro avviso, il ruolo di maggior responsabilità di Draghi rende più difficile percorrere questa strada, e richiederebbe una cooperazione fra i partiti largamente superiore a quella sperimentata nel 1999. Oltretutto, considerando che il mandato di Mattarella scadrà a febbraio 2022, se Draghi prendesse il suo posto con ogni probabilità i partiti politici dovrebbero prepararsi alle urne già dalla fine di quest'anno, ed è tutt'altro che scontato che i più importanti siano favorevoli a quest'ipotesi.
Se le elezioni fossero rimandate al 2022, le conseguenze per i titoli di Stato italiani dipenderebbero dall'orientamento verso l'Europa dei partiti di Centro-Destra. Le dichiarazioni più recenti di Salvini e Meloni suggeriscono l'adozione di un approccio meno conflittuale, ma la situazione può cambiare anche rapidamente. Ovviamente, l'eventuale presenza di Draghi al Quirinale sarebbe un elemento di supporto, ma ad oggi è difficile stabilire se basterebbe a compensare un eventuale risveglio dei sentimenti anti-europeisti.
La successione a Mattarella, però, potrebbe essere gestita anche in un altro modo. Come già accaduto con Napolitano, il suo mandato potrebbe essere esteso per dare a Draghi il tempo necessario a raggiungere gli obiettivi che si è prefissato nell'attuale legislatura, e offrirgli successivamente la possibilità di assumere la più alta carica dello Stato. Questo scenario sarebbe molto positivo per le attività finanziarie domestiche: la collaborazione fra i partiti necessaria perché si materializzi segnalerebbe il tramonto definitivo del populismo nel nostro paese.