Corte Suprema, un giudizio ad alto impatto
Dazi doganali riscossi da inizio anno

Fonte: elaborazione Anima su dati US Custom and Border Protection, Budget Lab @Yale
Per decenni, lo IEEPA è stato impiegato esclusivamente per introdurre sanzioni economiche o misure restrittive mirate in risposta a “minacce esterne straordinarie e insolite”. Anche per questo motivo, molte aziende hanno presentato ricorso alle autorità giudiziarie, e il 28 maggio 2025 la Corte per il Commercio Internazionale degli Stati Uniti (CIT) ha dichiarato che le tariffe imposte ai sensi dello IEEPA sono illegittime. La decisione è stata confermata in appello, costringendo l’Amministrazione Trump a rivolgersi alla Corte Suprema; il verdetto è atteso per la fine dell’anno, ma non è stata fissata alcuna data. Durante le udienze preliminari, la Corte Suprema è apparsa scettica sull'utilizzo dello IEEPA per imporre dazi, ma i primi rilievi non sono sempre indicativi della decisione finale; inoltre, i giudici hanno evidenziato orientamenti diversi, e, secondo le statistiche, la Corte tende a ribaltare i verdetti dei tribunali di grado inferiore (dal 2007, è accaduto nel 70% dei casi).
Qualora la Corte non dovesse esprimersi a favore dell’Amministrazione Trump (come i siti di scommettitori ritengono largamente probabile), verrebbe sancito un importante limite per i poteri esecutivi del Presidente, e scatterebbe il diritto al rimborso per gli importatori. Difficilmente, però, si registrerebbe la fine della deriva protezionistica: l’Amministrazione potrebbe infatti imporre nuovi dazi facendo leva su basi legislative più solide, quali la “Section 301” o la “Section 232”, relative a pratiche di commercio scorrette e minacce alla sicurezza nazionale, o eventualmente (ma più improbabile, stanti i vincoli all’applicazione) la “Section 122”.
Se questo scenario dovesse materializzarsi, la capacità dell’Amministrazione Trump di approvare nuove misure tariffarie attraverso procedure accelerate sarebbe cruciale per l’evoluzione delle finanze pubbliche statunitensi. In ogni caso, secondo le nostre stime, il deficit passerebbe dal 5,7% del PIL nel 2025 al 7,2-7,6% nel 2026, rispetto al 6,3% del nostro scenario centrale.
Le conseguenze sarebbero importanti anche sotto il profilo macro. Se da una parte l’inflazione potrebbe convergere verso il target in tempi un po’ più rapidi, dall’altra parte la domanda domestica potrebbe guadagnare slancio: consumatori e imprese potrebbero approfittare del periodo di grazia per anticipare le spese prima che le tariffe vengano reintrodotte, mentre le aziende potrebbero dover alzare gli stipendi per trattenere il personale, stante la carenza di offerta di lavoro e le risorse addizionali a disposizione. In aggiunta, con l’approssimarsi delle elezioni di medio termine e la popolarità del Presidente in calo, l’Amministrazione Trump potrebbe scaricare la sua frustrazione verso l’establishment intensificando le pressioni sulla Fed, o approvando ulteriori misure di stimolo fiscale.
In questo contesto, le implicazioni per la direzione dei tassi potrebbero essere rilevanti. Monitoriamo dunque con attenzione gli sviluppi, ribadendo in termini relativi la preferenza per i titoli di Stato europei.