Dopo un avvio all’insegna dell’avversione al rischio, le prospettive di una prosecuzione del ciclo di tagli della Fed hanno innescato un calo dei rendimenti governativi negli Stati Uniti e un recupero dei corsi azionari
Novembre è stato un mese a due facce, e a plasmare i trend di mercato sono stati ancora una volta la Fed e la tematica dell’intelligenza artificiale. Inizialmente, le dichiarazioni aggressive del Governatore Powell, che ha definito un taglio a dicembre “tutt’altro che scontato”, e la pubblicazione delle minute della riunione di ottobre, dalle quali è emerso che diversi esponenti del FOMC ritenevano appropriato mantenere il tasso ufficiale invariato fino alla fine dell’anno, hanno innescato una revisione al ribasso delle probabilità di un taglio al meeting di dicembre. Ne è derivata una fase di avversione al rischio: i listini azionari hanno registrato diffuse prese di profitto e la volatilità è salita in modo deciso, complice il contestuale aumento delle preoccupazioni per la redditività degli investimenti in AI (le “Magnifiche-7” hanno archiviato il primo mese in calo da marzo). Nella seconda metà del mese, tuttavia, l’ammorbidimento dei toni della Fed (a cominciare dal Presidente della Fed di NY, Williams), l’aumento del tasso di disoccupazione al 4,4%, massimo da ottobre 2021, e le indiscrezioni sulla nomina di Kevin Hasset alla guida della banca centrale americana hanno rinsaldato la fiducia degli investitori nella prospettiva di un allentamento monetario; questo, unitamente al miglioramento del sentiment sul settore tecnologico e ai progressi nei negoziati di pace fra Ucraina e Russia, ha alimentato un recupero delle attività rischiose.
Nel complesso, i rendimenti dei Treasury statunitensi hanno subito modeste pressioni al ribasso, più pronunciate sulle scadenze brevi. I governativi dell’Area Euro si sono mossi in controtendenza, con una evidente sottoperformance dei Bund tedeschi, e penalizzazioni più lievi per i BTP: lo spread rispetto ai Bund sulle scadenze decennali si è ridotto di 4 punti base raggiungendo a quota 71 punti base i minimi da gennaio 2010, sulla scia dell’upgrade di Moody’s e del clima di risk-on. Il rialzo dei rendimenti governativi e un pur limitato allargamento degli spread hanno pesato sulle performance delle obbligazioni societarie a più alto merito di credito, mentre la combinazione di carry elevato e duration contenuta ha permesso al comparto speculativo di archiviare ritorni positivi.
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Dopo aver registrato nella prima parte del mese il calo più pronunciato dal Liberation Day, i mercati azionari hanno recuperato terreno e chiuso il mese con variazioni trascurabili. Gli indici continentali si sono distinti in positivo, specie quello italiano, grazie ai progressi sul piano di pace in Ucraina, mentre il maggiore scetticismo sulle prospettive dell’AI ha zavorrato i listini statunitensi. A livello settoriale, gli investitori hanno continuato a privilegiare i comparti difensivi e value: la tecnologia e i consumi discrezionali figurano fra i settori più penalizzati su entrambe le sponde dell’Atlantico.
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I mercati valutari sono stati caratterizzati da un indebolimento generalizzato dello yen: la divisa nipponica è stata penalizzata dall’annuncio di un massiccio piano di stimoli fiscali da parte del nuovo Governo, che ha innescato anche importanti pressioni al rialzo sui tassi. Debole anche il dollaro, che ha perso terreno sulla scorta delle attese di maggiori tagli da parte della Fed: il rapporto di cambio contro euro si è attestato in chiusura del periodo di riferimento a 1.16.
Materie prime miste. Nonostante la decisione dell’OPEC+ di interrompere la fase di rialzo dei target produttivi, il petrolio è stato penalizzato dalle ipotesi di distensione del quadro geopolitico in Ucraina; fra i metalli, il rame ha tratto vantaggio della prospettiva di un ampliamento del deficit sul fine anno, mentre l’oro è stato sostenuto dal calo dei rendimenti statunitensi e dalla debolezza del dollaro.
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