Federal Reserve, la normalizzazione della politica monetaria è finita

Investment Advisory

25.03.2019

Federal Reserve, la normalizzazione della politica monetaria è finita

Il Presidente Powell ha sorpreso analisti e investitori annunciando una drastica revisione del sentiero di evoluzione dei tassi nei prossimi tre anni: nessuna variazione nel 2019, un solo aumento (forse) nel 2020.
Durante il Meeting del 20 marzo la Banca Centrale americana ha rinforzato il messaggio di cautela lanciato a fine gennaio. 
L’ormai celebre dot-plot, il grafico a punti aggiornato ogni tre mesi, che riporta le previsioni dei diversi membri del Consiglio sul livello appropriato dei tassi nel futuro prevedibile, mostra che la maggior parte dei Governatori non si aspetta di modificare il livello dei tassi nell’anno in corso, un cambiamento radicale rispetto all’ipotesi di due aumenti avanzata a dicembre. Un rialzo dovrebbe arrivare nel 2020, ma la necessità di una stretta non è certo pressante: numerosi esponenti del Comitato (7 su 17) ritengono che non sia opportuna e in ogni caso i tassi si fermerebbero al di sotto del livello neutrale di lungo periodo, 2,75%. 

Più aggressive del previsto anche le scelte in tema di gestione del bilancio: il processo di ridimensionamento (Quantitative Tightening) rallenterà da maggio e si concluderà definitivamente a settembre, quando il portafoglio della Fed raggiungerà circa 3.500 miliardi di dollari. La quota di titoli di Stato sul totale della attività aumenterà progressivamente, dal momento che i proventi percepiti sui MBS verranno reinvestiti in Treasuries.

Le decisioni della Fed si inseriscono nel contesto di un deterioramento dello scenario macroeconomico: il PIL americano crescerà a un ritmo del 2,1% nel 2019 e 1,9% nel 2020, in ribasso rispettivamente di 0,2% e 0,1% rispetto alle stime di dicembre, per poi stabilizzarsi ad un livello lievemente inferiore al potenziale nel 2021, 1,8%. La crescita più debole si dovrebbe riflettere in un marginale aumento del tasso di disoccupazione (3,7%, 3,8% e 3,9% nel triennio 2019-2021), mentre l’inflazione è attesa consolidare in prossimità del target del 2% per tutto l’orizzonte di previsione. In sostanza, la Fed si aspetta che l’economia rallenti in modo graduale verso il potenziale e che non emergano pressioni sui prezzi, nonostante le condizioni di piena occupazione, gli effetti delle tariffe e un livello dei tassi di interesse non restrittivo. La politica monetaria americana sembra aver raggiunto un equilibrio stabile e duraturo, ed è difficile ipotizzare un cambio di direzione nel breve periodo (a meno di variazioni rilevanti dello scenario di riferimento). 

Da una parte, infatti, il focus sulla natura simmetrica del target di inflazione e sull’importanza di risollevare aspettative di inflazione ancora estremamente depresse lascia supporre che la Fed sia disposta ad accettare un overshooting anche importante dei prezzi: la barra per ulteriori rialzi dei tassi sembra quindi piuttosto alta. Allo stesso tempo, tuttavia, l’ipotesi di un taglio appare molto lontana dallo scenario centrale: nessuno dei 17 membri del Comitato lo prevede, in nessuno dei prossimi tre anni. 
Fin da inizio gennaio, l’adozione di un orientamento più conciliante da parte della Fed è stata cruciale per stabilizzare il sentiment degli investitori e ha alimentato un apprezzamento generalizzato di tutte le asset class. Le decisioni più recenti hanno accentuato il movimento: i tassi governativi sono crollati ai minimi dell’anno, gli spread sulle obbligazioni corporate ed emergenti si sono contratti e il dollaro si è indebolito. 

Più incerta, invece, la reazione delle borse: la prosecuzione del trend positivo sembra necessitare di segnali più consistenti e convincenti di miglioramento del flusso di dati su crescita economica e fondamentali aziendali.

Tassi ufficiali USA, le stime della Fed


Fonte: elaborazione ANIMA su dati Bloomberg​.



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