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USA-EU, trovato l'accordo

foto: Investment Advisory Investment Advisory

29.07.2025

USA-EU, trovato l'accordo

La Commissione Europea ha preferito accettare un compromesso sbilanciato in favore degli Stati Uniti piuttosto che correre il rischio di prolungare l’incertezza e iniziare una guerra tariffaria che con ogni probabilità avrebbe anche accelerato il disimpegno degli USA dall’Europa sul fronte della sicurezza

Dopo quattro mesi di trattative serrate e una successione di fasi di escalation e distensione, scandite da termini ultimi sistematicamente rinviati, Stati Uniti e Unione Europea hanno raggiunto un accordo quadro finalizzato al “ribilanciamento” dei rapporti commerciali. Si tratta di una dichiarazione politica legalmente non vincolante e molti dettagli devono ancora essere perfezionati, ma l’intesa prevede interventi su diversi fronti:

-          l’introduzione di un dazio reciproco del 15% su gran parte delle merci europee a partire dal 1° agosto, che scongiura l’applicazione dei dazi punitivi del 30% minacciati da Trump nella lettera di metà luglio. Restano assoggettate ad aliquota del 50% le importazioni di acciaio e alluminio, seppur con l’introduzione di quote, mentre il nuovo regime si applicherà alle auto e componentistica (in precedenza sottoposte ad aliquota del 25%) e apparentemente ai beni come farmaci e semiconduttori su cui sono in corso le investigazioni ai sensi della Sezione 232 (su questo punto, fonti USA hanno fornito pareri discordanti);
-          l’esenzione totale dei dazi per alcuni “prodotti strategici" quali aeromobili e componentistica, attrezzature per la produzione di semiconduttori, alcuni prodotti chimici e agricoli, alcuni farmaci generici, risorse naturali e materie prime critiche (la lista non è definitiva e si sta lavorando per aggiungere altre categorie, come gli alcolici);
-          l’impegno dell’UE ad acquistare materie prime energetiche per 750 miliardi di dollari in tre anni (un target difficile da raggiungere secondo gli analisti, considerando che le esportazioni totali degli USA si sono fermate a 340 mld di dollari nel 2024, e di questi solo il 25% è stato indirizzato verso l’UE);
-          l’impegno dell’UE ad acquistare armi e chip americani secondo modalità non meglio precisate, e ad effettuare investimenti negli Stati Uniti per 600 miliardi di dollari. Secondo i chiarimenti forniti da alcuni funzionari europei, si tratterebbe di una stima dei piani di investimento di aziende private su cui la Commissione Europea non ha alcun potere coercitivo, e che probabilmente sarebbero stati effettuati comunque (gli investimenti diretti provenienti dall'UE negli USA si sono attestati in media a 135 miliardi di dollari negli ultimi due anni, ed erano attesi in espansione per le necessità connesse a transizione digitale e sviluppo nel comparto dell’Ai);
-          la rinuncia dell’UE a rappresaglie e l’azzeramento delle tariffe su gran parte delle merci importate dagli Stati Uniti (da chiarire l’applicabilità ad alcuni settori specifici, come quello delle auto).

Secondo quanto riportato da alcuni organi di stampa, entro il 1° agosto Stati Uniti e Unione Europea cercheranno di mettere a punto una dichiarazione congiunta non vincolante dal punto di vista giuridico che amplierà alcuni dei punti negoziati nel fine settimana, e che aprirà le porte all’applicazione del nuovo regime di dazi da parte degli USA. In seguito, le parti inizieranno a lavorare su un testo giuridicamente vincolante, la cui approvazione da parte di una maggioranza qualificata dei paesi membri dell'UE sarà condizione necessaria per l’attuazione di alcuni dei termini concordati (come la riduzione dei dazi europei sui prodotti statunitensi).

La notizia dell’accordo è stata accolta con una certa freddezza su questa sponda dell’Atlantico: le critiche più aspre sono giunte dall’Eliseo, da sempre promotore della linea dura in risposta ai dazi unilaterali minacciati da Washington, che ha parlato di una “giornata buia” e di un’Europa che “si rassegna alla sottomissione”; il premier spagnolo Sanchez ha dichiarato di accogliere l’accordo “senza entusiasmo”, mentre in Germania il Cancelliere Merz ha riconosciuto che “di più non si poteva fare”, pur esprimendo preoccupazione per l’impatto sull’economia, e in Italia la premier Meloni ha espresso sostegno alla linea della collaborazione seguita dalla Commissione, giudicando l’intesa “sostenibile”.

La stessa freddezza è emersa anche dalla reazione dei mercati finanziari: l’euro ha perso terreno rispetto al dollaro, i rendimenti obbligazionari sono scesi e le aperture positive degli indici azionari non hanno retto alla pressione delle prese di profitto, anche se occorre tenere presente che la probabilità di sviluppi costruttivi era aumentata dopo il raggiungimento di un accordo fra Stati Uniti e Giappone, e la settimana in corso si annuncia densa di eventi e notizie ad alto impatto. 

Considerando i dettagli attualmente disponibili, l’intesa appare leggermente peggiorativa rispetto al nostro scenario base, e modifica solo al margine le stime di crescita per il 2025. Ci attendiamo che il PIL si espanda a un ritmo dell’1,0% dall’1,1% stimato in precedenza, per effetto della compensazione fra due forze opposte: da un lato il livello tariffario più alto del previsto, dall’altro la riduzione dell’incertezza sulla politica commerciale, che offrirà supporto alla fiducia delle aziende, all’export e alle catene domestiche del valore. Si conferma inalterata l’aspettativa di un consolidamento del trend disinflazionistico, e di un potenziamento del supporto monetario da parte della BCE. 


Esportazioni dei Paesi europei negli Stati Uniti nel 2024

Grafico a barre che confronta i valori delle esportazioni in miliardi di euro per vari Paesi europei


Fonte: elaborazione ANIMA su dati Eurostat.


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