Sono state da poco avviate le trattative per ridisegnare la relazione commerciale fra le due superpotenze. La situazione è tesa e la probabilità di un incidente di percorso elevata, ma stanno arrivando aperture importanti.
Il 2018 è stato caratterizzato da un progressivo inasprimento delle relazioni commerciali fra Stati Uniti e Cina, che ha depresso la crescita globale e creato turbolenze sui mercati finanziari.
Nelle ultime settimane, tuttavia, ci sono stati alcuni sviluppi costruttivi.
Donald Trump e il Premier cinese Xi Jinping hanno concordato una tregua di 90 giorni al G20 di Buenos Aires, durante la quale verranno condotti negoziati per dirimere le molte questioni aperte nei rapporti commerciali fra i due paesi. In un’intervista rilasciata a Bloomberg il 17 dicembre, il Segretario al Tesoro Mnuchin ha confermato che a gennaio saranno istituiti diversi tavoli tecnici.
Durante questa fase, gli Stati Uniti sospenderanno l’aumento dei dazi su 200 miliardi di importazioni cinesi previsto a inizio 2019, mentre la Cina si è impegnata a ridurre lo squilibrio commerciale (ingenti acquisti di soia sono già stati effettuati) e ha temporaneamente ridotto le tariffe sulle auto americane (dal 40% al 15%). Da segnalare anche alcune indiscrezioni di stampa circa una presunta disponibilità della Cina a modificare la propria politica industriale (il famoso piano “Made in China 2025”), fonte di tensione con l’Amministrazione Trump.
La reazione dei mercati alla notizia dell’accordo è stata molto positiva, ma l’entusiasmo degli investitori è andato rapidamente scemando. A pesare una molteplicità di fattori: dalle dichiarazioni incoerenti di Trump (che ha ribadito la sua fiducia nello strumento dei dazi quale arma privilegiata per difendere gli interessi del Paese, definendosi “l’uomo delle tariffe”), allo scoppio del caso Huawei, che ha acceso i riflettori sulla complessità di temi quali il trasferimento forzato della tecnologia o la tutela della proprietà intellettuale, con enormi ricadute per le grandi multinazionali fortemente integrate su scala globale.
In prospettiva, sarà molto difficile raggiungere in soli tre mesi un’intesa che consenta una pace duratura, vista la criticità delle questioni irrisolte e le pressioni politiche interne. Negli ultimi anni, sia l’opinione pubblica che l’establishment americano hanno cambiato radicalmente approccio rispetto al colosso asiatico: non più partner per la crescita, ma rivale da contenere nella sua ascesa. Il contesto di medio periodo, dunque, resta quello di una contrapposizione strategica tra le due maggiori economie mondiali.
Tuttavia, a nostro avviso a Buenos Aires è emersa una reale volontà delle parti di trovare un compromesso. È nell’interesse di tutti: della Cina, che sta moltiplicando gli sforzi per stabilizzare economia e mercati dopo un anno molto deludente; degli Stati Uniti, che nel 2019 dovranno fare i conti con il venir meno della spinta della riforma fiscale e con una politica monetaria restrittiva; e del Presidente USA, a cui la Costituzione attribuisce ampi margini di libertà in tema di politica commerciale. Nel 2020 Donald Trump dovrà combattere per la rielezione e una recessione derivante da una guerra tariffaria non gioverebbe alla sua causa. Non è un caso che, pochi giorni prima del G20, General Motors avesse annunciato la chiusura di diversi impianti e il licenziamento del 15% della forza lavoro americana, senza alcun taglio delle attività in Cina (la casa automobilistica nel terzo trimestre ha venduto più veicoli in Cina che negli USA).
Per certo, l’equilibrio che Trump saprà trovare fra la linea dura di una classe dirigente che vorrebbe ridurre l’interdipendenza fra società americane e cinesi, e gli interessi di un mondo imprenditoriale che in questo scenario avrebbe molto da perdere, sarà uno dei driver più importanti per i mercati nel 2019.