Overview - Acque inesplorate
Le nostre stime sulla crescita negli Stati Uniti sono state riviste al ribasso: riteniamo infatti che la perdita di slancio dell'economia si manifesterà più rapidamente di quanto atteso in precedenza, sulla scorta della politica commerciale decisamente più aggressiva adottata dall'Amministrazione Trump. In questo contesto, restiamo convinti che la probabilità di una recessione si attesti intorno al 45%.
Con riferimento all' Area Euro, il flusso di dati macro ha evidenziato la debolezza della crescita nel mese di marzo. Nonostante la pausa di 90 giorni, restiamo convinti che le tariffe porteranno in dote un forte deterioramento del panorama per il commercio europeo. Pertanto, considerate la minore domanda esterna e la persistente debolezza della domanda interna nei prossimi trimestri, abbiamo rivisto al ribasso le nostre previsioni di crescita per il 2025 allo 0,7% (dal precedente 1,0% e con il consenso a 0,9%): il combinato disposto dell'impatto dei dazi e di un livello di incertezza commerciale più elevato e persistente più che compenserà il moderato sostegno al sentiment derivante dall'aumento della spesa fiscale che era stato fattorizzato nello scenario centrale precedente.
In Cina, infine, il ritmo di espansione del PIL nel primo trimestre dovrebbe attestarsi al 5,1% annuo e superare le nostre iniziali aspettative, grazie alle forti misure di stimolo. Tuttavia, l'escalation delle tensioni commerciali con gli Stati Uniti potrebbe ridurre la crescita del 2025 fino all'1,7%. In assenza di uno stimolo fiscale aggiuntivo, in misura quantomeno pari allo 0,5-0,8% del PIL, riteniamo che l'obiettivo di crescita del 5% sia seriamente a rischio. Per il momento, manteniamo una stance neutrale, ma i rischi al ribasso sono aumentati, stante la chiara intenzione degli Stati Uniti di isolare la Cina nel panorama del commercio internazionale.
Relativamente alla dinamica dei prezzi, negli Stati Uniti riteniamo che le pressioni al rialzo sull'inflazione derivanti dai dazi saranno graduali e di breve durata. Il PCE core dovrebbe segnare un picco al 3,2% tra agosto e settembre 2025, trainato dalla componente dei beni; successivamente, il percorso di rientro dell'inflazione al target proseguirà, supportato dalla disinflazione dei servizi, dalle prospettive di crescita più deboli nel secondo semestre, e dalle considerazioni sul parziale assorbimento dell'impatto dei dazi attraverso gli ampi margini societari e il dirottamento dei traffici commerciali; l'obiettivo della Fed dovrebbe essere raggiunto entro la fine del secondo trimestre 2026, circa due trimestri più tardi rispetto a quanto ipotizzato in precedenza. Il flusso di dati relativo al mese di marzo supporta la nostra tesi.
In Area Euro, invece, la lettura dell'inflazione core di marzo ha sorpreso al ribasso rispetto alle stime di consenso: a concorrere in larga misura è stato il notevole calo della componente dei servizi, complice l'effetto base positivo dovuto alla Pasqua anticipata dell'anno precedente. Pur non escludendo un moderato recupero in aprile, per il medesimo effetto base ma con segno opposto, restiamo convinti che l'inflazione sui servizi abbia ripreso il trend ribassista, dopo essersi fermata al 4% negli ultimi 9 mesi, fino a gennaio 2025.
In Cina, per finire, le pressioni deflazionistiche non si arrestano: a marzo l'inflazione è risultata nuovamente negativa, con l'indice CPI core quasi invariato e l'indice dei prezzi alla produzione in continuo calo. Le crescenti tensioni commerciali hanno affossato il sentiment delle imprese, e restiamo convinti che le pressioni al rialzo sui prezzi domestici rimarranno contenute, a causa della persistente sovracapacità produttiva e del limitato apporto positivo derivante dal reindirizzamento delle esportazioni.
CRESCITA
Stati Uniti – Revisione negativa, con rischi al ribasso
Il nostro scenario base precedente si fondava sull'assunzione che il presidente Trump avrebbe adottato una posizione sui dazi simile a quella della prima guerra commerciale (FTW) nel 2017-2018. Le decisioni inaspettate di 1) invocare l'International Emergency Economic Powers Act (IEEPA) per accelerare l'attuazione dei dazi e 2) imporre dazi reciproci su tutti i beni importati, hanno invece allargato significativamente lo spettro dei beni soggetti a dazi che rientrano nel paniere inflattivo statunitense, superando quindi di gran lunga la quota residuale del 7% assoggettata durante il primo mandato Trump.
Nonostante margini aziendali ancora corposi, se non superiori a quelli antecedenti la FTW, riteniamo che non saranno sufficienti ad assorbire in toto gli effetti inflazionistici della nuova e più ampia struttura di dazi bilaterali. Pur derubricando l'effetto a temporaneo (rimandiamo alla sezione sull'inflazione negli Stati Uniti per maggiori dettagli), riteniamo che l'aumento dei prezzi che ne deriverà avrà un impatto negativo sulla spesa dei consumatori, in particolare sulle fasce a più basso reddito, complici livelli di prezzo già molto elevati e i bassi tassi di risparmio. Al tempo stesso, anche la spesa per investimenti delle aziende rallenterà.
In questo contesto, abbiamo rivisto al ribasso le nostre stime di crescita per il 2025 all'1,6% dal precedente 2,0% (vs consensus:1,8%). Il nostro scenario base, in termini sequenziali prevede quindi che la crescita, in termini di tasso annuo destagionalizzato, si attesti allo 0.8% per il primo trimestre (dal precedente 1.4%), e successivamente 1.6%, 0.6%, 0.7% per i tre trimestri successivi (dai precedenti 2.1%,1.6%,1.7%).
Restiamo convinti che la probabilità di una recessione sia prossima al 45% e abbiamo identificato tre fattori chiave che potrebbero ridurre o aumentare significativamente questa probabilità.
- Politica fiscale. La scorsa settimana, i Repubblicani della Camera hanno approvato, seppur di stretta misura, il programma fiscale del Presidente Trump. L'adozione del provvedimento da parte della Camera è propedeutica all'attuazione di una procedura accelerata per un disegno di legge di prossima presentazione e che estenderebbe i tagli fiscali in scadenza, ridurrebbe ulteriormente le tasse e aumenterebbe la spesa per la sicurezza dei confini e la difesa nazionale. Allo stato attuale, l'ammontare del disegno di legge non è ancora definitivo: il piano della Camera richiede almeno 1.500 miliardi di dollari di tagli alla spesa nell'arco di un decennio e consente 4.000 miliardi di dollari di tagli alle tasse. Il piano del Senato, invece, prevede solo 4 miliardi di dollari di tagli alla spesa e più di 5.000 miliardi di dollari di tagli alle tasse. Se l'ammontare del disegno di legge fiscale simile a quanto proposto dalla Camera è prossimo alle aspettative di consenso, la bozza approvata dal Senato, se varata dal Congresso, incorporerebbe 2.000-2.500 miliardi di dollari in più rispetto al pacchetto promesso dal presidente Trump durante la campagna elettorale.
- Posizione sui dazi doganali. Quanto più a lungo l'amministrazione statunitense manterrà l'attuale politica restrittiva sui dazi, tanto maggiore sarà l'impatto economico. A nostro avviso, se il Presidente Trump dovesse procedere con il suo piano di imporre dazi a più livelli sulle importazioni da circa 60 Paesi e dazi specifici per ogni settore, la probabilità di una recessione salirebbe oltre il 50%, con il risultato potenziale di un dato di crescita del PIL trimestrale negativo già nel corso dell'anno.
La decisione di sospendere l'applicazione di ulteriori dazi per 90 giorni ha un ruolo cruciale all'interno del nostro attuale contesto di riferimento. Infatti, concentrandosi principalmente sulla Cina, il Presidente Trump ha implicitamente concesso all'economia statunitense un margine di manovra sufficiente per assorbire lo shock dei dazi. Il ri-orientamento degli scambi commerciali, un escamotage di difesa dalle tariffe già adottato nel corso della FTW, resta una possibilità. Tuttavia, se dovessero essere imposti dazi su paesi che attualmente fungono da proxy di produzione per la Cina, come il Vietnam, la Cambogia, il Laos e simili, consumatori e imprese statunitensi non avrebbero alcuna via di scampo.
3) Cause legali. La decisione del presidente Trump di intervenire in modo così deciso e unilaterale in materia di commercio internazionale è senza precedenti e si prevedono cause legali che contestino il superamento dei suoi poteri d'emergenza.
Da un punto di vista teorico, qualsiasi azienda statunitense che si trovi a fronteggiare costi più elevati per importare e distribuire beni di fabbricazione estera a causa dell'aumento delle tariffe doganali potrebbe intentare un'azione legale. Da un lato, le grandi aziende che intrattengono rapporti di business con il governo potrebbero essere riluttanti a compiere un passo così controverso, mentre le società più piccole potrebbero essere più propense a intervenire. Allo stato attuale, un'azione legale è già è stata intentata.
Sebbene non si possano escludere altri casi, la tempistica delle sentenze rimane molto incerta; tuttavia, data l'importanza della questione i tribunali potrebbero accelerare l'iter, rendendo teoricamente possibile che una causa raggiunga la Corte Suprema più rapidamente del solito. Ciò nonostante, è improbabile che accada in meno di qualche mese.
Lo scenario di base di ANIMA. Abbiamo rivisto al ribasso le nostre aspettative di crescita per il primo trimestre, dal 1.4% allo 0.8%, sulla scorta delle stime preliminari di febbraio di bilancia commerciale. A febbraio infatti, il deficit commerciale della componente dei beni si è ridotto solo marginalmente rispetto al record negativo del mese precedente.
Come accaduto a gennaio, i flussi di arbitraggio sull'oro potrebbero aver condotto a una sovrastima degli effetti sul PIL da parte del deficit commerciale. Tuttavia, pur rivedendo il dato sulle importazioni per tener conto delle distorsioni dell'oro, i numeri di febbraio suggeriscono un'elevata accumulazione di scorte per anticipare le minacce di dazi. Pertanto, non rilevando alcun assorbimento di pari portata con i dati mensili sulle scorte, abbiamo rivisto al ribasso le nostre stime per il primo trimestre. Al tempo stesso, nonostante alcuni indicatori previsionali indichino un calo molto più accentuato rispetto al nostro 0,8% (ad esempio, il GDPNow della Fed di Atlanta, aggiustato per le importazioni di oro, è ora a -0,3%), restiamo convinti che al di là delle distorsioni legate al commercio, i fondamentali dell'economia mostrano ancora resilienza: a febbraio il reddito personale ha sorpreso al rialzo, così come i dati NFP di marzo, mentre le spedizioni di beni durevoli core sono rimaste stabili e ferme nei primi due mesi dell'anno.
Il nostro scenario base per l'anno 2025 è così delineato: ci aspettiamo un tasso di crescita trimestrale del PIL (dato annuo destagionalizzato) all'1,6% (dal precedente 2,1%), e successivamente allo 0,6% e 0.7% nei due trimestri successivi (contro 1.6% e 1.7% previsti in precedenza) coerenti con una media annua per il 2025 all'1,6%, in calo rispetto al 2,0% precedente e al di sotto dell'attuale consenso del 2,2%.
Area Euro – Debolezza indotta dai dazi
Uno slancio di crescita anemico. Gli indici PMI di marzo hanno segnato un misero incremento nel settore manifatturiero. A nostro avviso, si tratta di un miglioramento di breve durata, in quanto dai dettagli è emerso che le industrie dell'Area Euro sembrano aver beneficiato di un aumento delle importazioni statunitensi in previsione dei dazi. Il settore dei servizi è rimasto pressoché invariato rispetto a febbraio. I sondaggi di sentiment della Commissione Europea hanno confermato il quadro settoriale degli indici PMI, ma al contempo hanno evidenziato un notevole calo del sentiment economico. A marzo la fiducia dei consumatori non ha dato segni di miglioramento (-14.5), poiché le famiglie sono diventate più pessimiste riguardo alla situazione economica generale; in Germania, gli ordini industriali di febbraio sono stati inferiori alle aspettative, e la componente degli ordinativi core ha registrato il secondo mese consecutivo di contrazione. Anche i dati sulla produzione industriale di febbraio sono stati più deboli del previsto. In questo contesto, confermiamo le attese crescita per il primo trimestre allo 0.2% su base trimestrale, invariata rispetto al quarto trimestre 24.
Le prospettive di medio termine sono peggiorate a causa della persistente incertezza commerciale.
Focus sui dazi. Secondo i nostri calcoli preliminari, e tenuta in considerazione la pausa di 90 giorni concessa dalla Casa Bianca per tutti i paesi che non hanno messo in atto strategie ritorsive, la tariffa media statunitense sulle importazioni di provenienza europea si posiziona all'11-12% (ovvero il 10% di dazio universale, più aliquote su acciaio, alluminio e automobili), anziché al 20-21% (se calcolato con la formula presentata- Surplus commerciale con gli USA ÷ Esportazioni totali verso gli USA ÷ 2). Tuttavia, poiché il processo di negoziazione sarà lungo e non privo di inciampi, restiamo convinti che l'incertezza commerciale rimarrà elevata nei prossimi mesi.
Le nostre previsioni di crescita per il 2025 sono state riviste al ribasso ma, grazie alla pausa di 90 giorni, il nostro scenario base è meno drastico di quello ultra-aggressivo ipotizzato a margine del Giorno della Liberazione. Restiamo dell'avviso che il nuovo livello di dazi comporterà comunque un significativo deterioramento del contesto commerciale europeo rispetto a qualche mese fa. Inoltre, ci aspettiamo ulteriori effetti negativi derivanti dall'incertezza e dal calo di fiducia, che si manifesteranno indipendentemente dall'annuncio della pausa del 9 aprile, e da effetti negativi di secondo livello (ad esempio legati all'escalation del conflitto commerciale tra Stati Uniti e Cina).
Pertanto, considerate la minore domanda esterna e la persistente debolezza della domanda interna nei prossimi trimestri, abbiamo rivisto al ribasso le nostre previsioni di crescita per il 2025 allo 0,7% (dal precedente 1,0% e allo 0,9% attuale di consenso); in questo contesto, il combinato disposto dell'impatto dei dazi e di un livello di incertezza commerciale più elevato e persistente, sovrasterà il moderato sostegno al sentiment derivante dall'aumento della spesa fiscale introdotta nel nostro precedente scenario centrale.
Lo scenario base di ANIMA. Abbiamo rivisto il nostro scenario centrale e ci aspettiamo ora una crescita del PIL reale dello 0,8% (in calo rispetto all'1,0% precedente), così articolata in termini sequenziali: 0,2% nel primo trimestre 2025 (invariato rispetto al precedente), 0,1% per il secondo e terzo trimestre e 0,2% nel quarto trimestre (rispetto rispettivamente allo 0,2%, allo 0,3% e allo 0,3% della previsione precedente).
Cina – Più dazi = Più stimoli
La crescita del primo trimestre potrebbe superare le aspettative, grazie a misure di stimolo anticipate. Dopo il deciso recupero del quarto trimestre del 2024, l'economia del Dragone ha mantenuto uno slancio di crescita positivo nel primo trimestre del 2025, grazie a misure di stimolo anticipate. Il flusso di dati sull'attività economica di gennaio e febbraio si è dimostrato superiore alle aspettative, grazie alla domanda interna più forte, a una robusta emissione di titoli di Stato, un programma ampliato di sussidi commerciali per i beni di consumo e al continuo sostegno ai settori ad alta tecnologia e ai principali progetti infrastrutturali. Gli indici PMI di marzo hanno evidenziato ulteriori miglioramenti sia nel settore manifatturiero che in quello dei servizi, rafforzando lo slancio positivo. Pertanto, abbiamo rivisto al rialzo la nostra previsione di crescita per il PIL del primo trimestre, dal 4.8% su base annua al 5.1%.
La guerra commerciale potrebbe pesare fino all'1,7% del PIL cinese. Il 7 aprile, la Cina ha risposto con dazi del 34% su tutti i beni statunitensi in risposta alla tariffa del 34% imposta dagli Stati Uniti sui prodotti cinesi. A sua volta, il presidente Trump ha minacciato un ulteriore tariffa del 50%, in atto dal 9 aprile, qualora la Cina non avesse ritirato le sue misure: di conseguenza, l'aliquota tariffaria effettiva degli Stati Uniti sui prodotti cinesi è aumentata dal 64% al 104%. L'impatto economico di tariffe così elevate non può essere desunto in modo lineare. Riteniamo infatti che una tariffa del 54% (20%+34%) porterebbe ad una contrazione del PIL reale cinese pari circa allo 0,7%, ma un aumento al 104% non si tradurrebbe necessariamente in una contrazione dell'1,4%. Si stima infatti che le esportazioni dirette negli Stati Uniti contribuiscano attualmente per il 3% al PIL cinese, di cui 2,35% derivanti dal valore aggiunto interno e 0,65% dagli investimenti manifatturieri correlati. Pertanto, riteniamo che l'aumento iniziale del 54% potrebbe ridurre il PIL di 0,7 punti percentuali, mentre il successivo aumento del 50% eserciterà probabilmente un impatto incrementale relativamente più limitato, pari a circa 0,5 punti percentuali. Qualora le tariffe non venissero ritirate e in assenza di ulteriori stimoli, il PIL cinese potrebbe calare a circa il 3,0% nel 2025.
L'obiettivo di crescita è sempre più a rischio senza un ulteriore supporto fiscale. L'escalation delle tensioni commerciali in corso rappresenta un sostanziale rischio al ribasso per l'economia cinese, che potrebbe mettere a repentaglio il raggiungimento della nostra stima sulla crescita del PIL per il 2025, posta in via prudenziale al 4.5%. Oltre all'impatto diretto dei dazi reciproci degli Stati Uniti, una domanda globale più debole potrebbe ostacolare gli sforzi della Cina allargare le esportazioni al di fuori degli Stati Uniti. Inoltre, altri partner commerciali potrebbero rispondere aumentando i dazi sui prodotti cinesi, sia per proteggere le industrie nazionali, sia come leva nei negoziati con gli Stati Uniti. In considerazione dei crescenti rischi per la crescita, riteniamo che ulteriori misure di stimolo siano essenziali. Riteniamo che le Autorità cinesi dovrebbero introdurre ulteriori misure di allentamento fiscale pari almeno allo 0,5-0,8% del PIL per mitigare l'impatto economico e sostenere gli sforzi per raggiungere l'obiettivo di crescita del 5,0%.
Scenario di riferimento di ANIMA. In questo contesto, abbiamo rivisto al ribasso il nostro profilo di crescita del PIL 2025 al 5,1% annuo nel primo trimestre (dal 4,8%), 3,7%, 3.2% e 3.9% (da precedenti 4.4%, 4.1%,4.6%), coerente con un tasso annuo del 4,0%, in calo dal precedente 4,5%.
INFLAZIONE
Stati Uniti – Posticipata e temporanea
Le pressioni al rialzo sull'inflazione derivanti dai dazi saranno graduali e di breve durata.
1) L'incremento delle scorte che ha anticipato l'entrata in vigore dei dazi dovrebbe garantire alle aziende almeno due mesi di vendite al dettaglio prima di scaricare sul consumatore i costi più elevati derivanti dai dazi.
2) I margini restano elevati, addirittura più alti di quanto non fossero prima della FTW: questo dovrebbe aiutare le aziende a limitare il trasferimento dei costi ai consumatori, per i quali ipotizziamo in prima battuta un 20%.
3) Le aziende hanno accumulato scorte prima dell'entrata in vigore dei dazi, garantendosi così circa due mesi di operatività, prima di dover scegliere tra trasferire costi più elevati sui consumatori o assorbirli attraverso i margini.
4) In questa fase, è ancora possibile un reindirizzamento degli scambi commerciali, soprattutto dalla Cina verso i paesi produttori limitrofi.
5) Restiamo convinti che le componenti di servizi core e dei servizi abitativi core- che non sono direttamente influenzati dai dazi – proseguiranno su una traiettoria al ribasso. In verità, la dinamica potrebbe addirittura intensificarsi, con il raffreddamento della domanda interna indotto dai dazi.
6) Nonostante un continuo moderamento della crescita salariale, segnaliamo rischi al rialzo, complici gli effetti negativi delle tariffe.
A nostro avviso, i primi, potenziali, aumenti dei prezzi potrebbero essere rilevati dal CPI di giugno (la cui pubblicazione è prevista per il 15 luglio). Restiamo convinti che le pressioni al rialzo saranno comunque graduali, con il picco atteso tra agosto e settembre 2025. Tuttavia, in questa fase iniziale risulta incerto stimare con precisione l'arco di tempo in cui si manifesteranno le pressioni sui prezzi. Dopo che Trump ha rinviato di 90 giorni i dazi reciproci, le aziende potrebbero continuare ad accumulare importazioni, estendendo eventualmente il margine di inventario anche nel secondo semestre.
Il più recente flusso di dati supporta questa ipotesi. A marzo, l'indice dei prezzi al consumo ha sorpreso al ribasso, a testimonianza della solidità del trend di disinflazione e del fatto che non sono ancora emersi chiari segnali che i dazi possano spingere al rialzo i prezzi.
- Il momentum della componente supercore sta rallentando. La sorpresa al ribasso è imputabile principalmente a:(i) tariffe aeree che hanno segnato ulteriore, e consecutiva, debolezza, (ii) un calo dei prezzi degli alloggi e (iii) le assicurazioni sui veicoli a motore hanno invertito la rotta. In questo contesto, l'inflazione supercore ha fatto segnare il primo tasso mensile negativo da maggio 2020.
- I beni di prima necessità sono rimasti ben ancorati alla media pre-COVID. Una buona parte della decelerazione è dovuta alla debolezza dei prezzi delle auto usate. Tuttavia, la componente di beni con un'elevata quota di importazioni dalla Cina ha mostrato dati contrastanti o deboli: abbigliamento ed elettrodomestici hanno registrato una decelerazione, mentre mobili e prodotti informatici hanno registrato un lieve aumento.
Tuttavia, il quadro potrebbe cambiare qualora i dazi fossero mantenuti e incrementati, specie se associati a una politica fiscale marcatamente espansiva. In questo scenario, lo shock inflazionistico derivante dai dazi potrebbe avere maggiore possibilità di radicarsi, poiché lo stimolo fiscale potrebbe a sostenere la resilienza della domanda dei consumatori, rallentando il processo di convergenza al target.
Lo scenario base di ANIMA. In questo contesto, restiamo convinti che il PCE core raggiungerà il 2,7% nel quarto trimestre (in rialzo dal precedente 2,4% e leggermente al di sotto dell'attuale consenso al 2,8%). Ci aspettiamo il seguente andamento sequenziale: 2.6% per il primo trimestre (invariato), e successivamente 2.9%, 3.2% e 2.7% per i tre trimestri successivi (dai precedenti 2.5%, 2.4%, 2.2%), coerente con un tasso annuo per il 2025 al 2.8%, dal precedente 2.5%.
Area Euro – Target ancora a portata
A marzo, l'inflazione core è scesa dello 0,2%, al 2,4% annuo. Accogliamo con favore la ripartizione del dato, in quanto l'inflazione dei beni industriali non-energetici è rimasta invariata allo 0,6% annuo (in linea con la media pre-COVID), mentre la componente dei servizi ha subito una notevole decelerazione al 3,4% (-0,3 punti percentuali).
La Pasqua ha dato i suoi frutti. L'effetto Pasqua ha contribuito al calo dell'inflazione dei servizi, in quanto le tariffe aeree sono risultate deboli in tutti i Paesi dove è possibile raccogliere dati dettagliati (Germania, Italia e Belgio), così come i pacchetti vacanza. Pur non escludendo un leggero rimbalzo di queste componenti ad aprile, complice l'effetto base questa volta negativo della Pasqua bassa, riteniamo che l'inflazione dei servizi abbia finalmente ripreso il suo percorso di decelerazione dopo essersi fermata al 4% negli ultimi 9 mesi fino a gennaio 2025.
Crescita salariale sempre più dimessa. Il nostro indicatore sui salari dell'Area Euro, basato su dati mensili e trimestrali disponibili singolarmente a livello nazionale, ha evidenziato un dato per il primo trimestre 25 sceso al 3,0% su base annua, il livello più basso dal 2022. Il dato è allineato con la soglia del 3% di crescita salariale complessiva che la BCE considera coerente con la stabilità dei prezzi, a fronte di una crescita della produttività di lungo periodo prossima all'1%. Con la crescita dei salari sotto controllo, la decelerazione dell'inflazione dei servizi dovrebbe proseguire senza ostacoli.
Il nostro scenario base è solo in minima parte influenzato dai dazi. L'attuale contesto tariffario ci ha indotto a rivedere al ribasso le nostre stime sulla crescita dell'Area Euro, ma non abbiamo apportato modifiche alle nostre aspettative relative all'inflazione. A nostro avviso la quota soggetta ai dazi che rientra nel paniere inflattivo dell'Area Euro è pari all'1.4%, calcolata moltiplicando la quota delle importazioni sul totale dei beni di consumo finale (12%) per la quota dei prodotti statunitensi sul totale delle importazioni (11,4%). Pertanto, tenuto conto del potenziale aumento dei dazi e della quota di beni soggetti a tariffe che rientrano nel CPI, riteniamo che l'effetto diretto sul CPI potrebbe essere di circa +0,1 punti percentuali. Al tempo stesso, il calo atteso nel 2025 della produzione reale dell'Area Euro è destinato a compensare qualsiasi aumento dei prezzi, limitando il potere di determinazione dei prezzi delle imprese. Inoltre, riconosciamo potenziali rischi al ribasso derivanti da un euro più forte e da dazi più aggressivi su Cina e Asia orientale.
Lo scenario base di ANIMA. Il nostro scenario di base resta invariato e ci aspettiamo il seguente andamento sequenziale: 2.6% per il primo trimestre, e successivamente 2.4%, 2.2% e 2.1% per i tre trimestri successivi, coerente con un tasso annuo per il 2025 al 2.3%.
Cina – Scenario base invariato
Il nostro scenario centrale resta invariato, complici le persistenti spinte deflazionistiche. A marzo, le pressioni sui prezzi hanno mostrato segno negativo, con un CPI core in marginale rialzo allo 0,3% a cui ha fatto seguito un peggioramento dei prezzi alla produzione, scesi a -2.5% su base annua. Questo testimonia il deterioramento del sentiment delle imprese in seguito all'escalation delle tensioni commerciali, in quanto le misure di ritorsione della Cina e la risposta degli Stati Uniti segnalano l'inizio di una guerra commerciale aperta.
In ottica prospettica, è probabile che i prezzi interni rimangano bassi, poiché il riorientamento dell'export cinese dagli Stati Uniti verso altri partner commerciali richiederà tempo, e in aggiunta, nutriamo dubbi sulla misura in cui esso questo riesca ad alleviare in modo significativo la crescente sovraccapacità produttiva della Cina. Pertanto, le pressioni al ribasso sui prezzi sono destinate a persistere.
Lo scenario base di ANIMA. In questo contesto, Il nostro scenario di base resta invariato e ci aspettiamo il seguente andamento sequenziale: -0.1% per il primo trimestre, e successivamente 0.2%, 0.6% e 1.5% per i tre trimestri successivi, coerente con un tasso annuo per il 2025 allo 0.5%, dallo 0.2% del 2024.Nel complesso, i rischi restano orientati al ribasso.
NOTA: Approfondimento presentato in occasione dell'ultimo Comitato Investimenti, tenutosi il 15/16 aprile 2025.