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Notizie ed eventi

09.07.2025

Outlook secondo semestre 2025: incertezza e resilienza

Nei prossimi sei mesi ci aspettiamo un rallentamento della crescita negli USA, senza però una contrazione. In Area Euro ci attendiamo una decelerazione nei trimestri a venire. Il processo di disinflazione proseguirà su entrambe le sponde dell'Atlantico. In questo contesto, restiamo convinti che Fed e BCE effettueranno due tagli dei tassi entro la fine dell’anno. In Cina, gli squilibri strutturali permangono e un intervento delle Autorità appare decisivo per sostenere la crescita fino al 2026



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I primi sei mesi del 2025 sono stati tutto fuorché privi di sorprese. Diverse forze si sono contrapposte, generando un livello di incertezza generale paragonabile solo a quello raggiunto durante la pandemia di Covid. 

Donald Trump ha iniziato il suo mandato con un’azione coercitiva importante, in particolare in materia di politica commerciale, che nel suo insieme oggi potremmo definire multilateralmente più aggressiva di quanto ci si sarebbe potuti aspettare. Infatti, sebbene le restrizioni commerciali imposte alla Cina siano in parte rientrate rispetto a quanto inizialmente minacciato, il ricorso a uno schema sanzionatorio universale che appesantisse gli scambi con tutti i partner commerciali degli Stati Uniti era ipotizzato solo nel nostro scenario di coda. Sul fronte geopolitico, invece, il conflitto russo-ucraino non sembra essere prossimo a una soluzione immediata come immaginato dal Presidente Trump, mentre le tensioni in Medio Oriente, che sembravano parzialmente sopite, hanno raggiunto nuovamente livelli estremamente elevati, con lo scoppio della guerra fra Iran e Israele e l’intervento militare americano.

Nello stesso tempo, però, il quadro macroeconomico ha mostrato una resilienza che, date le premesse, appare sorprendente. Particolarmente negli Stati Uniti, dove la domanda domestica rimane solida e l’inflazione sotto controllo, complici un quadro reddituale ancora importante, il forte aumento delle scorte a cui le aziende hanno fatto ricorso per anticipare l’inasprimento tariffario ed un indebolimento dell’inflazione dei servizi più pronunciato delle attese di inizio anno.

Ci aspettiamo che la seconda parte del 2025 non si discosti troppo da questo percorso. Da un lato, è ragionevole immaginare che l’Amministrazione Trump continuerà a prendersi i titoli dei giornali, mantenendo alta l’attenzione degli operatori ma bassa la volontà di ingaggio unidirezionale. Dall’altro lato, il quadro macro, ancorché volatile, dovrebbe continuare a mostrare una tenuta dei consumi e una convergenza dell’inflazione al target, seppur più graduale negli Stati Uniti che in Area Euro a causa dell’impatto delle tariffe.

A fronte di questo contesto macro, confermiamo il nostro scenario centrale che vede le Banche centrali continuare ad ammorbidire la loro azione restrittiva e portare avanti un ciclo di tagli dei tassi che rimane “disinflativo”, cioè orientato ad evitare che le condizioni finanziarie, ancorché passivamente, si inaspriscano troppo in termini reali, stanti le attese di rientro programmatico dell’inflazione e rallentamento misurato della crescita.

Alla luce di queste considerazioni, il nostro scenario centrale per il 2025 rimane ampiamente allineato a quello descritto a fine 2024, anche per quanto riguarda i rischi.

Sul fronte dei rischi regolamentari, in particolare, l’attenzione rimane sulla politica economica dell’Amministrazione Trump. Le scelte in tema di tariffe nazionali e settoriali, immigrazione e fiscalità potrebbero impattare negativamente sulla crescita e/o l’inflazione. Questo potrebbe portare al consolidamento di un equilibrio stagflazionistico che spingerebbe da una parte le famiglie americane a ridimensionare notevolmente i consumi in un contesto di probabile rialzo del tasso di disoccupazione, e dall’altra la Fed a ridurre in modo drastico l’allentamento monetario, esacerbando l’indebolimento della dinamica macro. Più in generale, un prolungato senso di incertezza rispetto alla politica economica americana potrebbe portare gli investitori a ridurre l’intensità della fiducia verso gli asset denominati in dollari, a maggior ragione qualora Trump decidesse di sostituire il governatore della Federal Reserve Jerome Powell con una persona più allineata alla propria linea politica.


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