Corsa ai fondi di mercato monetario statunitensi, motivazioni e conseguenze

Investment Advisory

28.04.2023

Corsa ai fondi di mercato monetario statunitensi, motivazioni e conseguenze

La ricerca di protezione e rendimento ha spinto gli investitori a convogliare flussi ingenti verso i fondi di mercato monetario; il fenomeno è destinato è continuare, seppur a un ritmo più modesto, e le ripercussioni sull’economia non saranno trascurabili
Il fallimento di Silicon Valley Bank e l'insorgenza delle tensioni nel settore bancario hanno intensificato i timori degli investitori circa la solvibilità degli istituti di credito, spingendoli a riallocare i capitali all'interno e all'esterno del sistema bancario: i deflussi di depositi sono stati significativi, in particolare per le banche medio-piccole, e la liquidità è stata indirizzata in parte presso gli istituti sistemici, percepiti come più sicuri in virtù delle loro dimensioni e della regolamentazione più restrittiva a cui sono sottoposti, e in parte verso i fondi di mercato monetario (Money Market Funds, MMF).

Questa tipologia di prodotti ha registrato un incremento di masse ragguardevole nel mese di marzo, 343,6 miliardi di dollari (oltre il 7% degli attivi totali), che rivaleggia con gli afflussi record sperimentati in occasione delle crisi provocate dal crack Lehman e dall'esplosione del COVID. Allora, però, i movimenti di capitale si giustificarono con le scelte di asset allocation degli investitori, che avevano ridotto l'esposizione rispettivamente ai fondi azionari durante la Grande Crisi Finanziaria e ai titoli obbligazionari a inizio pandemia; in questo caso, invece, i deflussi più significativi sono stati registrati sui depositi bancari, il che rende meno probabile un ri-direzionamento delle masse verso le asset class di origine in tempi rapidi. Al contrario, è ragionevole ipotizzare che il trend di riallocazione delle risorse verso i fondi di mercato monetario sia destinato a continuare, per quanto a un ritmo più modesto, e al netto degli effetti stagionali legati al pagamento delle imposte nel mese di aprile.


Asset totali investiti in fondi di mercato monetario statunitensi



Fonte: elaborazione ANIMA su dati Bloomberg


Benché infatti le tensioni nel sistema bancario si siano attenuate e il fabbisogno di liquidità delle banche si sia stabilizzato, il contesto di tassi di interesse elevati e in aumento in cui ci troviamo è strutturalmente favorevole per i fondi di mercato monetario: la loro appetibilità agli occhi degli investitori aumenta, in termini relativi, in virtù dell'allargamento del differenziale di tasso rispetto ai depositi bancari (secondo gli analisti, il Beta del tasso di deposito medio rispetto ai tassi ufficiali è stato pari a 0,3 negli ultimi due trimestri, mentre quello dei fondi di mercato monetario si è attestato fra 0,8 e 0,9). Non è un caso che nel periodo compreso fra l'inizio del ciclo restrittivo della Fed e il fallimento di SVB, gli attivi dei MMF americani fossero già cresciuti di circa 350 miliardi di dollari, in base ai dati di EPFR, ovvero a un ritmo di circa 30 miliardi al mese. Il dato è coerente con l'esperienza storica. Uno studio recente condotto dalla Fed di New York (*), infatti, ha evidenziato l'esistenza di una relazione stretta tra l'aumento dei tassi ufficiali e l'ammontare delle masse dei fondi di mercato monetario: storicamente, un incremento di un punto percentuale dei Fed Funds ha provocato una crescita di sei punti percentuali degli attivi dei MMF, nell'arco di due anni. Il lag temporale, senz'altro importante, si giustifica con il fatto che il rendimento dei fondi incorpora quasi in tempo reale i movimenti dei tassi ufficiali, mentre gli investitori hanno comportamenti inerziali e impiegano molto più tempo per acquisire consapevolezza e assumere decisioni di investimento.


La portata del fenomeno, peraltro, potrebbe essere amplificata dal rientro delle distorsioni che hanno contraddistinto l'epoca dei tassi a zero.
Prima del fallimento di Lehman, infatti, il patrimonio dei MMF cresceva a un ritmo più rapido rispetto ai depositi bancari; il trend si è invertito a partire dal 2008, con una pausa significativa nel biennio 2018-2019 (ovvero, nel periodo compreso fra il ciclo restrittivo del 2017-2018 e lo scoppio della pandemia, che ha visto sprofondare i tassi nuovamente a zero). Oggi, la quota dei fondi di mercato monetario sull'aggregato M2 si attesta in area 22%, a fronte di una media storica del 30% registrata in fasi di tassi elevati assimilabili a quella odierna; una normalizzazione verso quei livelli sarebbe associata a movimenti di capitale per circa due trilioni di dollari, seppur spalmati su un orizzonte temporale molto lungo.


Anche escludendo scenari estremi, l'erosione dei depositi bancari innescata dalla riallocazione di risorse verso i fondi di mercato monetario non sarà senza conseguenze: gli istituti di credito sono costretti ad aumentare la remunerazione dei depositi per trattenere la liquidità e fronteggiano un aumento del costo del capitale, esacerbato dal calo delle quotazioni azionarie; per difendere i margini, gli standard per la concessione di prestiti dovranno essere inaspriti, complice il deterioramento del quadro ciclico in atto, e la contrazione del credito al settore privato che ne deriverà peserà sull'attività economica. Una recessione nel secondo semestre, per quanto breve e di lieve entità, resta il nostro scenario centrale.

 


(*) Alfonso, Cipriani, La Spada (December 2022), “Banks' Balance-Sheet Costs, Monetary Policy, and the ON RRP"


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