L’allentamento delle tensioni commerciali e i segnali di resilienza del quadro macro/fondamentale hanno ridimensionato le preoccupazioni degli investitori per l’andamento della crescita, alimentando un robusto apprezzamento delle attività rischiose
Gran parte delle turbolenze delle attività rischiose innescate dall’annuncio di tariffe reciproche è stata riassorbita già nel mese di aprile, ma il sentiero di recupero è proseguito con decisione a maggio, grazie da una parte all’ulteriore de-escalation delle tensioni commerciali, specie nei rapporti fra Stati Uniti e Cina, e dall’altra ai segnali incoraggianti sullo stato di salute dell’economia e dei bilanci aziendali offerti dal flusso di dati macro e dalla reporting season.
Sul fronte della politica commerciale, in particolare, l’Amministrazione americana ha raggiunto accordi con diversi paesi, seppur scarni nei dettagli, e ha drasticamente ridotto le tariffe reciproche nei confronti della Cina, dal 145% al 30% (a fronte di un livello dell’80% ventilato da Trump pochi giorni prima dell’accordo, e del 60% sbandierato in campagna elettorale); inoltre, verso la fine del mese le trattative con l’Europa hanno registrato un’accelerazione, ed è giunta del tutto inattesa la notizia della dichiarazione di illegittimità delle tariffe imposte ai sensi dello IEEPA da parte della Corte per il Commercio Internazionale degli Stati Uniti.
Con riferimento al flusso di dati macro, i report relativi al periodo post-Liberation Day hanno fotografato un quadro relativamente poco impattato dalle tensioni commerciali, con indicazioni costruttive sia sul fronte dell’economia reale che su quello degli indicatori di sentiment; l’indice Citigroup di sorprese economiche per gli Stati Uniti è salito ai massimi da inizio febbraio, e un trend similare è emerso anche in Europa e nei Paesi emergenti. Buone notizie sono arrivate anche dai dati sull’inflazione: la variazione su base annua dell’indice dei prezzi al consumo statunitensi è stata più debole del previsto per tre mesi consecutivi, scendendo in aprile ai minimi da febbraio 2021.
Meno incoraggianti gli sviluppi sul fronte della politica fiscale: il downgrade del rating sul debito sovrano americano da parte di Moody’s e l’approvazione da parte della Camera di una Legge di Bilancio più lasca del previsto hanno rinfocolato le preoccupazioni degli investitori per il deterioramento delle finanze pubbliche americane, intensificando le pressioni al rialzo sui tassi a lungo termine.
In questo contesto, gli indici governativi globali hanno registrato performance negative, con il traino di JGB giapponesi e Treasury americani; meno penalizzati i governativi europei, con i BTP in evidenza positiva: lo spread rispetto al Bund è sceso sotto quota 100 punti base, ai minimi da 2021, sostenuto dal clima di risk-on e dalla revisione al rialzo dell’outlook sul debito sovrano italiano da parte di Moody’s. Bilancio positivo anche per le obbligazioni societarie, sulla scorta di un sensibile restringimento degli spread, proporzionale al grado di esposizione al rischio credito e all’entità dell’allargamento registrato in aprile.

I listini azionari si sono apprezzati in modo significativo, in particolare nei paesi sviluppati; l’indice S&P 500 ha archiviato il maggior guadagno mensile da 18 mesi, con il traino delle Magnifiche 7: le mega cap tecnologiche americane hanno ritrovato il favore degli investitori, sostenute dai massicci flussi in acquisto della comunità retail e da una reporting season complessivamente rassicurante. In termini di stili e settori, i comparti ciclici e growth sono stati di gran lunga più premianti rispetto a difensivi e value, con il settore farmaceutico in rosso su entrambe le sponde dell’Atlantico.

I mercati valutari hanno registrato movimenti piuttosto limitati: il dollaro è rimasto in consolidamento nella fascia alta del range disegnato nella prima metà di aprile, dopo l’annuncio delle tariffe reciproche, mentre lo yen è stato penalizzato dall’aumento generalizzato della propensione al rischio.
Materie prime miste. L’allentamento delle tensioni sul commercio internazionale ha sostenuto le quotazioni del petrolio e dei metalli industriali, e alimentato modeste prese di profitto sull’oro.

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