Il Piano Nazionale di Ripresa e Resilienza italiano
Il 30 aprile il Governo italiano ha trasmesso alla Commissione Europea il Piano Nazionale di Ripresa e Resilienza (PNRR), un pacchetto di investimenti e riforme strutturato secondo le indicazioni del programma Next Generation EU, l'ambiziosa risposta comune dell'Unione Europea alla crisi pandemica. Citando le parole di Mario Draghi, si tratta “di un intervento epocale", che intende riparare i danni economici e sociali prodotti dalla pandemia, contribuire a risolvere le debolezze strutturali dell'economia italiana e accompagnare il nostro Paese su un percorso di transizione ecologica e ambientale.
La portata delle somme stanziate è senza dubbio rilevante: il Piano prevede investimenti per 222,1 miliardi di euro, 191,5 finanziati attraverso il Dispositivo per la Ripresa e la Resilienza (divisi in 68,9 miliardi di sovvenzioni e 122,6 di prestiti, da impiegare nel periodo 2021-2026) e 30,6 mediante un Fondo complementare istituito con lo scostamento pluriennale di bilancio approvato a metà aprile. A queste risorse si aggiungono i mezzi resi disponibili da altri programmi europei (inclusi i 13 miliardi del REACT-EU, che saranno spesi nel triennio 2021-2023), il che ha permesso di programmare spese per complessivi 235,1 miliardi di euro (oltre il 13% del PIL italiano nel 2019).
Il Piano, frutto di un confronto intenso con il Parlamento e la Commissione Europea, si articola in sei missioni:
- Digitalizzazione, innovazione, competitività, cultura (49,2 miliardi di euro). L'obiettivo è promuovere la trasformazione digitale del Paese, sostenere l'innovazione del sistema produttivo e investire in due settori chiave, turismo e cultura. Sono previsti interventi per assicurare la fornitura di banda ultra-larga e connessioni veloci in tutto il territorio nazionale, incentivare l'adozione di tecnologie innovative nel settore privato e rafforzare le infrastrutture digitali della pubblica amministrazione.
- Rivoluzione verde e transizione ecologica (68,6 miliardi). La finalità è migliorare la sostenibilità e la resilienza del sistema economico assicurando una transizione ambientale equa e inclusiva. Vengono stanziate risorse per potenziare l'economia circolare e la gestione dei rifiuti, rinnovare il trasporto pubblico locale e incrementare l'efficienza energetica di edifici privati e pubblici; in programma anche importanti investimenti nel campo delle fonti energetiche rinnovabili, nella filiera dell'idrogeno e nei servizi idrici.
- Infrastrutture per una mobilità sostenibile (31,4 miliardi). L'obiettivo primario è lo sviluppo razionale di un'infrastruttura di trasporto moderna, sostenibile ed estesa a tutto il territorio nazionale; fra i progetti finanziati lo sviluppo dell'alta velocità sulla rete ferroviaria, soprattutto al Centro-Sud.
- Istruzione e ricerca (31,9 miliardi). Lo scopo è rafforzare il sistema educativo, le competenze tecniche e digitali, la ricerca e il trasferimento tecnologico.
- Inclusione e coesione (22,4 miliardi). Si punta a facilitare la partecipazione al mercato del lavoro, anche attraverso la formazione, potenziare le politiche attive del lavoro e favorire l'inclusione sociale.
- Salute (18,5 miliardi). Fra le finalità, rafforzare la prevenzione e i servizi sanitari (anche con l'assistenza domiciliare e la telemedicina), modernizzare e digitalizzare il sistema sanitario e garantire equità di accesso alle cure.
Per quanto riguarda la tipologia di spesa finanziata, il 61,8% dei fondi saranno impiegati per investimenti, il 18,7% per incentivi al settore privato, 12,2% per spese correnti, 5% per trasferimenti alle famiglie e 2,4% per le imprese (riduzione di contributi sociali a carico dei datori di lavoro).
Come espressamente previsto dal Dispositivo per la Ripresa e la Resilienza, il Piano prevede anche un ambizioso programma di riforme, finalizzato a facilitarne l'attuazione e amplificarne i benefici.
- le riforme orizzontali, o di contesto, consistono in innovazioni strutturali dell'ordinamento, di interesse traversale a tutte le missioni e finalizzate a migliorare l'equità, l'efficienza e la competitività del paese. Rientrano in questa categoria la riforma della Pubblica Amministrazione e quella del sistema giudiziario;
- le riforme abilitanti sono interventi funzionali a garantire l'attuazione del Piano e in generale a rimuovere gli ostacoli amministrativi, regolatori e procedurali che condizionano le attività economiche. Comprendono misure di semplificazione e razionalizzazione della legislazione e provvedimenti per la promozione della concorrenza;
- le riforme settoriali, infine, mirano a introdurre regimi regolatori e procedurali più efficienti in ambiti settoriali specifici.
Il PNRR dedica un'ampia sezione alla valutazione dell'impatto macroeconomico degli interventi, che è stata effettuata ipotizzando un utilizzo integrale delle risorse stanziate entro il 2026 e il finanziamento di investimenti pubblici ad alta efficienza (ovvero, con ricadute elevate in termini di crescita potenziale). Sotto queste condizioni, il PIL crescerebbe in modo uniforme nei prossimi anni, raggiungendo nel 2026 un livello superiore del 3,6% rispetto allo scenario base. A questo risultato concorrono sia l'effetto di domanda di breve termine derivante dall'aumento della spesa pubblica, sia la crescita del PIL potenziale nel medio termine, connessa all'aumento dello stock di capitale pubblico e all'implementazione delle riforme strutturali (si assume che il tasso di crescita potenziale dell'economia italiana possa salire da 0,6% a 1,4%, con un contributo di 0,5% dai maggiori investimenti e di 0,3% dalle riforme).
Gran parte degli analisti considera queste stime ottimistiche, e ipotizza un aumento del PIL nel 2026 di circa il 2,5% rispetto allo scenario base. Lo stesso Governo ha identificato due scenari alternativi, che vedono i fondi impiegati per investimenti tradizionali oppure a bassa efficienza: in questi casi, la crescita addizionale del PIL nel 2026 si attesterebbe rispettivamente a 2,7% e 1,8%. Il grado di incertezza su questi numeri è elevato: l'articolazione temporale della spesa non è nota e mancano molti dettagli tecnici sui piani di spesa e sulle riforme settoriali.
Ovviamente, la fase di implementazione sarà cruciale. I rischi non mancano: il livello di dispersione degli interventi è molto ampio (si tratta di 162 investimenti, con una dimensione media dei progetti di 1,3 miliardi di euro); il ruolo delle amministrazioni locali sarà decisivo (mobiliteranno fondi per 87 miliardi di euro) e i progressi sul fronte delle riforme strutturali potrebbero essere difficili, trattandosi di questioni politicamente spinose. La stessa durata del Governo Draghi è incerta, considerando il carattere eterogeno della maggioranza che lo supporta. Tuttavia, il fatto che l'esborso dei fondi da parte della Commissione Europea sia scadenzato su base temporale (ogni sei mesi) e vincolato al raggiungimento di target precisi in termini di azioni da intraprendere rappresenta senz'altro un incentivo a rispettare gli impegni assunti.
Se l'implementazione avrà successo, il miglioramento delle prospettive per l'economia e gli asset finanziari domestici sarà sostanziale: come ha dichiarato Draghi, “NGEU rappresenta l'occasione per riprendere un percorso di crescita economica sostenibile e duraturo, rimuovendo gli ostacoli che hanno bloccato la crescita italiana negli ultimi decenni".