I mercati di aprile 2025

Investment Research

Il flusso di notizie sulla politica commerciale americana ha sconvolto e dominato il quadro di mercato, innescando movimenti estremi; l’ondata di avversione al rischio, tuttavia, è stata in gran parte riassorbita



Nel corso delle ultime settimane, i riflettori degli investitori sono stati costantemente puntati sulle decisioni dell’Amministrazione Trump in tema di politica commerciale. 

La volatilità è iniziata fin dalle prime battute del mese: l’annuncio di tariffe reciproche il 2 aprile ha sorpreso gli investitori per aggressività, pervasività e arbitrarietà dell’approccio, intensificando i timori di recessione e alimentando la sfiducia nell’Amministrazione americana. Ne è derivata una violenta ondata di avversione al rischio: l’indice S&P 500 ha registrato la quinta peggior performance a due giorni dalla fine della Seconda Guerra Mondiale, trascinando al ribasso i listini globali; in breve tempo, le turbolenze si sono estese a segmenti del mercato finanziario statunitense che storicamente hanno offerto protezione in caso di debolezza delle attività rischiose: i rendimenti dei Treasury a lungo termine hanno subito violente pressioni al rialzo (gli indici rappresentativi del comparto hanno archiviato la peggior performance settimanale dal 2001), complici le liquidazioni di basis trades da parte degli hedge funds, e il dollaro ha perso sensibilmente terreno, depresso dalla narrativa su un presunto indebolimento del suo status di valuta di riserva globale. L’8 aprile, l’indice VIX ha chiuso sopra quota 50, un livello segnato in passato solo durante le fasi più acute della Grande Crisi Finanziaria e della pandemia, e nella mattinata del 9 aprile il rendimento del Treasury trentennale è salito oltre il 5%, ai massimi dalla fine del violento sell-off obbligazionario consumatosi fra 2022 e 2023. A quel punto, le pressioni congiunte dei mercati, di diversi esponenti politici e benefattori del partito repubblicano e dalla comunità imprenditoriale hanno spinto il Presidente Trump a fare un passo indietro: i dazi sono stati sospesi per 90 giorni per tutti i paesi che non hanno annunciato rappresaglie, mentre hanno raggiunto il livello stratosferico di 145% nei confronti della Cina, dopo una successione incalzante di ritorsioni. L’annuncio della moratoria ha provocato un robusto rimbalzo dei mercati azionari: l’indice S&P 500 ha registrato la miglior performance giornaliera dal 2008, per poi perdere direzionalità e iniziare una fase di consolidamento. Sul finire del mese, tuttavia, il sentiment è migliorato in modo più durevole, grazie a una combinazione di fattori: l’ammorbidimento della retorica di Trump nei confronti della Fed, la crescente fiducia nella prospettiva di una de-escalation delle tensioni con la Cina, i segnali di resilienza del quadro macro/fondamentale; le attività rischiose hanno recuperato terreno, e sono arrivate a chiudere il mese su livelli non lontani da quelli di fine marzo.

Nel complesso, gli indici azionari globali hanno registrato perdite contenute, con una leggera sottoperformance di Stati Uniti e Regno Unito rispetto ad Area Euro e Giappone, che si sono marginalmente apprezzati; più pesante il passivo per la Cina, penalizzata dal severo inasprimento della politica commerciale americana. In termini di stili e settori, i comparti growth sono stati mediamente più premianti dei value, mentre la leadership fra ciclici e difensivi è stata più sfumata; significativa la debolezza del settore energetico, di gran lunga il peggiore su entrambe le sponde dell’Atlantico. 



I mercati obbligazionari hanno restituito performance positive, seppur con differenze ragguardevoli fra aree geografiche e segmenti di curva: i Treasury hanno archiviato guadagni molto più contenuti rispetto ai titoli di Stato delle altre giurisdizioni, frenati dall’aumento dei tassi reali, mentre le scadenze lunghe hanno significativamente sotto-performato quelle brevi, con conseguente irripidimento delle curve; i BTP hanno continuato a replicare l’andamento dei Bund tedeschi, dimostrando grande resilienza anche durante la fase di aumento più sostenuto della volatilità. Bilancio positivo anche per le obbligazioni societarie, nonostante il netto allargamento degli spread (16 punti base sul comparto investment grade e 42 punti base sugli high yield), grazie in primis all’esposizione relativamente limitata al rischio tasso.



I mercati valutari sono stati caratterizzati da un marcato indebolimento del dollaro, per il secondo mese consecutivo peggior valuta fra i paesi del G10: il deprezzamento a due mesi dell’indice DXY è stato il maggiore da giugno 2002, e ha visto fra i maggiori beneficiari le valute rifugio (franco svizzero e yen) e l’euro (il cambio EUR/USD si è spinto da 1,08 fin sopra 1,15, ai massimi dal 2021, per poi stornare e riportarsi in chiusura del periodo di riferimento in area 1,1350). 

Materie prime miste. Il petrolio ha registrato la peggior performance mensile da novembre 2021, affossato dalla prospettiva di un rallentamento della domanda a causa delle tensioni commerciali, e di un aumento dell’offerta per il cambio di strategia dell’Arabia Saudita nell’OPEC+; deboli anche i metalli industriali, per le preoccupazioni sulla tenuta della crescita globale, mentre l’oro si è spinto sopra i 3500 $/oncia, favorito dal clima di eccezionale incertezza, dal deprezzamento del dollaro e dalle speculazioni sui massicci acquisti di ETF fisici da parte di investitori retail cinesi. 






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