Con un intervento a sorpresa Trump ha annunciato nuovi dazi nei confronti delle merci cinesi. La risposta del dragone non si è fatta attendere con il blocco delle importazioni di prodotti agricoli USA e la svalutazione dello yuan. La situazione è tesa e alcuni segnali vanno monitorati attentamente.
In un’ulteriore svolta improvvisa nelle trattative tra Cina e Stati Uniti, il presidente Trump ha annunciato via Twitter, il 1° agosto, nuovi dazi su circa 300 miliardi di dollari di importazioni di merci cinesi con entrata in vigore dal 1° settembre. Questo annuncio ha rappresentato una vera sorpresa dal momento che i delegati statunitensi avevano recentemente dichiarato che i colloqui fra le parti procedevano in modo “costruttivo” e che il nuovo round negoziale era atteso per l’inizio di settembre. La risposta cinese non si è fatta attendere ed è avvenuta attraverso il blocco delle importazioni di prodotti agricoli statunitensi.
Rispetto ai dazi precedenti, la novità è che i prodotti colpiti saranno per lo più beni di consumo (telefoni cellulari, computer, giocattoli, abbigliamento, ecc.). Il rischio è che si possa avere un effetto perverso sul consumatore finale con un trasferimento totale o parziale dell’aumento dei prezzi da parte delle società produttrici. Inoltre, elevare nuovi dazi fa aumentare nuovamente i rischi per la crescita globale e le ricadute indirette sugli investimenti e sulla fiducia di famiglie e imprese.
L’approccio aggressivo di Trump, infine, aumenta il rischio che la guerra commerciale si prolunghi più a lungo delle attese e che si possa espandere in altre aree, come il settore automobilistico con un impatto ancora da definire per i produttori europei e giapponesi.
La reazione dei mercati non si è fatta attendere con ribassi generalizzati sui principali listini sviluppati ed emergenti oltre che sulle principali materie prime. Tassi decennali statunitensi in contrazione e ai livelli del 2016. Fuga verso i beni rifugio quali oro, franco svizzero e yen giapponese con la volatilità che è tornata ai livelli di gennaio. Degna di nota e termometro della crisi la svalutazione dello yuan che è stato lasciato deprezzare dalle autorità cinesi sopra la soglia psicologica dei 7 yuan per dollaro. Questa decisione ha aperto la porta a un’ulteriore reazione da parte del Tesoro USA che ha definito ufficialmente la Cina come un manipolatore della propria valuta e ha lasciato intendere che avvierà consultazioni con il Fondo Monetario Internazionale per eliminare quello che è stato definito un vantaggio competitivo scorretto.
In prospettiva, sebbene il rischio di una escalation della guerra commerciale tra Cina e Stati Uniti sia aumentato e queste azioni portino un rischio materiale di un’eventuale posticipazione o cancellazione del round negoziale di settembre, non vi sono attualmente impatti immediati dalla designazione di paese manipolatore. Inoltre, lo stesso Trump ha indicato la volontà di arrivare ad un accordo e quindi questa busca sterzata nelle trattative potrebbe essere un’altra mossa di strategia negoziale. Per assurdo, il soggetto maggiormente impattato dalle recenti decisioni risulta essere la posizione della Federal Reserve, che paradossalmente vede l’impegno del FOMC ad agire per contrastare i rischi sulla crescita globale quale un possibile contributo all’aumento dell’aggressività della Casa Bianca nella ricerca di un accordo commerciale a proprio vantaggio.
Rimangono quindi importanti barometri della crisi e segnali da monitorare: la volontà delle parti di procedere con i colloqui di settembre e il livello di svalutazione dello yuan che rappresenta attualmente il termometro della disponibilità cinese per trovare un accordo.
Andamento Cambio Yuan verso dollaro USA
Fonte: elaborazione ANIMA su dati Bloomberg.