Fra meno di un mese gli elettori democratici andranno al voto in Iowa e New Hampshire; l’esito della consultazione potrebbe avere un ruolo cruciale per l’identificazione dello sfidante di Trump.
Il 3 novembre 2020 ci saranno le cinquantanovesime elezioni presidenziali nella storia degli Stati Uniti. Nel corso dei prossimi cinque mesi, in tutti gli stati della federazione si svolgeranno le primarie, il processo elettorale mediante il quale ciascun partito individua il proprio candidato alla presidenza del paese. Il voto si traduce, con criteri variabili a seconda delle norme locali, nella nomina di una serie di “delegati”, vincolati ai vari contendenti e incaricati di partecipare alla Convention generale del partito; quest’ultima si svolge tipicamente nel mese di luglio e sancisce ufficialmente nome e programma della figura che concorrerà per la presidenza.
È prassi consolidata che un presidente uscente in cerca di rielezione non affronti alcuna opposizione fra i dirigenti del partito (l’unica eccezione risale al 1968); il processo di impeachment a carico di Trump introduce qualche elemento di incertezza, ma la sua popolarità fra i repubblicani è tale da rendere altamente probabile una ricandidatura. Tutt’altro che scontato, invece, è il nome del suo sfidante, ragion per cui le primarie dei democratici assumono particolare rilevanza.
Il primo appuntamento è fissato il 3 febbraio in Iowa e sarà un barometro importante per valutare il potenziale dei diversi candidati. Iowa e New Hampshire, infatti, eleggono un numero limitato di delegati, ma si sono dimostrati storicamente due stati chiave: molto spesso, le vittorie qui conseguite hanno anticipato un successivo trionfo a livello nazionale. Per il partito democratico, in particolare, in otto delle ultime dieci tornate elettorali il vincitore delle elezioni in Iowa è diventato il candidato ufficiale.
Secondo gli ultimi sondaggi, gli elettori democratici continuano a privilegiare Biden a livello nazionale, ma un’analisi delle preferenze a livello locale evidenzia come in Iowa e New Hampshire il candidato più accreditato per la vittoria finale sia Sanders. Stando alle esperienze più recenti, se il progressista dovesse avere la meglio, beneficerebbe di una spinta significativa nei consensi fino al Super Tuesday e alla Convention di luglio.
In occasione del cosiddetto Super Tuesday, in programma il 3 marzo, si voterà in ben sedici stati e si procederà alla nomina del maggior numero di delegati, circa 1350 (il 36% del totale). A differenza di quanto avvenuto nel 2016, anche la California anticiperà il voto al 3 marzo: si tratta di una novità rilevante, essendo lo Stato che elegge il maggiore numero di delegati (ben 416). Peraltro è lecito attendersi che il responso delle urne porti ad una riduzione del numero di candidati e che la competizione si concentri fra un numero limitato di figure, i cosiddetti frontrunners. A titolo esemplificativo, nelle primarie repubblicane del 2016 il numero dei candidati passò da dodici a tre in soli due mesi.
C’è però un’altra novità che merita di essere sottolineata. In passato, l’esito delle primarie poteva essere condizionato anche in modo significativo dalle preferenze dei cosiddetti super-delegati, “grandi elettori” indicati direttamente dal partito e liberi di votare per il candidato preferito. In questa elezione, i super delegati potranno esprimersi solamente durante la Convention e solo se la prima votazione non fornisse indicazioni precise. La maggiore rilevanza del voto popolare e l’attuale indeterminatezza dei sondaggi aumentano la probabilità che si arrivi alla Convention senza certezze: se lo sfidante democratico fosse individuato solo in quella sede, pertanto, avrebbe a disposizione poco tempo per impostare una campagna elettorale aggressiva, con ovvi vantaggi per il presidente uscente.
Sondaggi elettorali – Primarie democratiche.
Fonte: RealClearPolitics.com