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03.10.2019

Passaggio di testimone

Le politiche monetarie, pur continuando a rappresentare un fattore di supporto fondamentale, a tendere lasceranno il posto alle azioni di politica fiscale, che se efficaci potrebbero contribuire a migliorare lo scenario nei prossimi mesi.

​Dalle politiche monetarie alle politiche fiscali. In occasione dell’ultima riunione della BCE, il Presidente Mario Draghi ha rivolto un forte appello ai vari Stati della Ue, invitandoli ad intervenire in modo efficace e tempestivo con azioni di politica fiscale per sostenere la crescita. Alla luce delle ormai limitate possibilità di intervento a disposizione della Banca Centrale Europea si tratta di una sorta di “passaggio di testimone”. In occasione dei rispettivi meeting di settembre, sia la BCE che la Federal Reserve, hanno adottato provvedimenti che ancora una volta hanno rafforzato la linea accomodante intrapresa per supportare sia la crescita economica che l’inflazione, in linea con le aspettative già molto aggressive degli investitori. In particolare, la BCE ha varato un pacchetto di misure articolato (taglio del tasso di deposito, rafforzamento della forward guidance, miglioramento delle condizioni sulle aste TLTRO, riavvio del Quantitative Easing), ma un ulteriore potenziamento dello stimolo monetario sembra poco probabile, almeno nel breve periodo: Draghi ha posto l’accento sugli effetti collaterali dei tassi negativi ed ha ammesso le divisioni interne al Consiglio sull’opportunità di riprendere il Qe. La Fed ha tagliato i tassi di 25 punti base per la seconda volta dopo il primo taglio di luglio (si veda il Grafico 1), ma non ha fornito indicazioni per il futuro prossimo, rivelando un approccio maggiormente flessibile e relativamente meno interventista. 


Il vero nodo da sciogliere nei prossimi mesi sarà proprio l’evoluzione del quadro macro a livello globale: i consumi al momento tengono, ma il settore manifatturiero continua a rimanere debole, senza contare i rischi derivanti dal rallentamento del commercio globale. La disputa sui dazi tra Stati Uniti e Cina, a distanza di più di un anno e mezzo, non si è infatti ancora risolta. I recenti sviluppi lasciano intravedere la volontà di entrambe le parti di raggiungere un accordo, anche parziale, – di qui il nuovo round di negoziati ad alto livello in programma in queste prime settimane di ottobre - ma non va sottovalutata l’imprevedibilità del Presidente Trump che, in diverse situazioni non ha esitato a scatenare, a sorpresa, escalation delle tensioni, rendendo sempre più complesso definire un possibile scenario. 




Inoltre, a livello geopolitico, durante il mese è risalita la tensione tra Stati Uniti e Iran, dopo che uno dei principali giacimenti di petrolio sauditi è stato oggetto di un attacco militare via droni, riducendone fortemente la capacità produttiva. Nonostante non ci sia stata nessuna ufficialità circa la paternità dell’attacco, gli Stati Uniti hanno indicato nell’Iran il possibile mandante. Il blocco della produzione di 5,7 milioni di barili di greggio al giorno, circa il 5% della produzione mondiale, ha fortemente impattato il prezzo del petrolio: riteniamo che, anche in presenza di un rapido ripristino della produzione, un premio al rischio più elevato sia associato alla quotazione del greggio vista l’incertezza geopolitica. E un prezzo del petrolio più alto rappresenta un elemento di preoccupazione in più per le prospettive della crescita globale già minacciata dalla trade war. 


Ci troviamo, perciò, in una fase di transizione in cui le politiche monetarie, pur continuando ad essere di sostegno alla crescita economica, sembrano assumere un atteggiamento più attendista (soprattutto da parte della BCE) e al contempo le politiche fiscali non sono ancora protagoniste. Anzi, la loro entrata in scena sarà sicuramente graduale, in quanto i tempi della politica sono per natura lunghi e come tali vengono a limitare le possibilità di sorprese positive nel breve termine. Detto ciò, non si possono escludere eventi in grado di accelerare questo percorso: in Area Euro, potrebbe trattarsi della recessione tecnica in Germania piuttosto che un’Hard Brexit, mentre negli Stati Uniti, l’amministrazione Trump dovrà in qualche modo intervenire nei prossimi sei mesi per far sì che si producano effetti positivi sulla crescita prima delle elezioni del 2020. 


Lo scenario di riferimento resta dunque di difficile lettura, alla luce di diversi fattori di incertezza sul fronte geopolitico e macroeconomico. In questo contesto, all’interno dei portafogli, si mantiene un approccio volto al contenimento dei rischi e focalizzato su una gestione tattica e selettiva.​


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