Overview – Un lieto fine è ancora a portata di mano

Fabio Fois

Responsabile Investment Research & Advisory

08.04.2022

Overview – Un lieto fine è ancora a portata di mano

Lo scoppio della guerra ha aumentato in modo sostanziale l’incertezza sullo scenario di riferimento e provocato un inasprimento delle condizioni finanziarie. Ci aspettiamo che la crescita rallenti ma non deragli, con l’Area Euro più colpita per la vulnerabilità strutturale agli shock energetici e il crollo più marcato della fiducia. Nel breve periodo, le prospettive per l’inflazione dipenderanno dall’andamento delle materie prime, ma restiamo convinti che nel medio termine gli squilibri provocati dalla pandemia e dalla guerra inizieranno a riassorbirsi e le pressioni sui prezzi si allenteranno nella seconda metà dell’anno.

​​​​C'era una volta un'economia globale forte. In scia a un anno di crescita record, gli Stati Uniti e l’Area Euro avevano iniziato il 2022 su basi solide, mentre la Cina era pronta a riaccelerare grazie al sostegno della politica monetaria e fiscale. Poi lo scenario peggiore - una guerra ai confini dell'Europa - si è materializzato, facendo svanire le speranze di un altro anno in continuità con il precedente, benché con l’economia globale in espansione a un ritmo più lento.


L'invasione dell'Ucraina da parte della Russia ha gettato incertezza sullo scenario macro e provocato un modesto inasprimento delle condizioni finanziarie, ma il flusso di dati più recente segnala una discreta resilienza della domanda interna. Le diverse aree geografiche saranno colpite in modo disomogeneo dallo shock, ma in questa fase riteniamo che una recessione economica globale sia improbabile. Se l’escalation delle tensioni geopolitiche non si estenderà nel secondo semestre, la crescita forte in Cina e Stati Uniti dovrebbe offrire sufficiente sostegno all’Area Euro da permetterle di evitare una contrazione dell’attività economica.


Le prospettive per l’inflazione a breve termine resteranno guidate dai prezzi delle materie prime energetiche e alimentari. Le nostre stime per Stati Uniti, Area Euro e Cina sono state riviste al ribasso per incorporare l’allentamento delle tensioni osservato di recente. La view a medio termine, però, è invariata. Continuiamo ad aspettarci che le distorsioni sui prezzi al consumo provocate dalla pandemia e dalla guerra in Ucraina si affievoliscano, in linea con il graduale riassorbimento degli squilibri fra domanda e offerta. Questo dovrebbe consentire all'inflazione headline e core di indirizzarsi verso i livelli pre-COVID per tutto l'orizzonte di previsione. Ciò detto, la fase di transizione potrebbe non svilupparsi in modo omogeneo, e gli ultimi dati rinsaldano la nostra convinzione che i rischi per l'inflazione core siano più importanti in Area Euro che negli USA.

In questo contesto, la politica fiscale non avrebbe potuto restare a guardare. Lo shock sui prezzi delle materie prime provocato dalla guerra si è verificato in un momento in cui i Governi stavano ritirando i meccanismi di sostegno varati in risposta alla crisi COVID. Tuttavia, con l'impennata dei prezzi dell'energia che ha portato a un aumento del costo della vita e della produzione, le autorità fiscali hanno già iniziato a intervenire su scala globale, implementando misure ad ampio raggio. E un'azione più completa potrebbe ancora arrivare. Il piano di nuovi investimenti in difesa ed energia dell’Unione Europea, in fase di definizione e che vedrebbe il finanziamento di partnership pubblico-privato, potrebbe rappresentare un game-changer per le prospettive di crescita della regione.

La risposta fiscale allo shock sui prezzi delle materie prime, benché ancora in fieri, permette alle banche centrali di concentrarsi sulla gestione delle pressioni sui prezzi. Di fronte all'aumento dell'inflazione, infatti, le politiche monetarie dei paesi sviluppati hanno iniziato ad essere normalizzate, nonostante l’incertezza sulle disruptions provocate dalla guerra. A nostro avviso, Fed e BCE non consegneranno per intero la stretta prezzata oggi, per ragioni diverse, ma la direzione di marcia verso un ridimensionamento del supporto è certamente tracciata.

Nessuno sa come proseguirà la storia. L'incertezza è semplicemente troppo alta. Tuttavia, in coerenza con il nostro scenario base che prevede per l’anno in corso una crescita in territorio espansivo, stimoli sul fronte delle politiche fiscali e un’inflazione che, anche se alta, non costringerà le banche centrali a implementare politiche eccessivamente restrittive, riteniamo che sia troppo presto per prepararsi a un brutto finale.


MACRO ASSET ALLOCATION

Nel complesso, stante la congiuntura macroeconomica e geopolitica descritta, un approccio costruttivo al rischio appare giustificabile, seppur declinato tatticamente. La view sull’asset class azionaria si fonda sulla traiettoria dell’economia prima che la crisi russo-ucraina scoppiasse, alla fine di febbraio. Entrando nel secondo trimestre, infatti, l'economia globale era pronta a riaprire dopo l'ondata pandemica provocata dalla diffusione della variante Omicron. In quel contesto, una guerra di breve durata in Ucraina avrebbe potuto limitarsi ad offuscare un’attività economica allora molto resiliente. Al contrario, la correzione registrata dai mercati nella fase più acuta della crisi sembrava richiamare una contrazione globale: pensiamo che questo rischio sia esagerato.

Pertanto, supponendo che il flusso di notizie resti costruttivo, ci aspettiamo che il releif rally possa estendersi. Con la volatilità destinata a rimanere elevata fino a quando la pace non sarà siglata, manteniamo un approccio barbell nell’esposizione a ciclici e difensivi. Tuttavia, man mano che la nebbia si andrà diradando sulla strada dell'accordo, suggeriamo anche di ricostituire gradualmente le posizioni nei settori ciclici value: la ripresa economica che si stava sviluppando prima dell'invasione dell'Ucraina potrebbe indebolirsi con lo shock bellico, ma non deragliare. 

Con riferimento ai mercati obbligazionari, diventiamo costruttivi sugli Stati Uniti. Riteniamo infatti che il mercato stia già prezzando una Fed piuttosto aggressiva, mentre c’è la possibilità che si verifichi una svolta dovish rispetto alle aspettative attuali degli investitori. La positività è più smorzata in Area Euro: la BCE potrebbe lasciare le porte aperte a un aumento dei tassi nell'anno in corso fino a quando i dati non confermeranno l’esiguità delle pressioni salariali che ci attendiamo (improbabile prima della fine del secondo trimestre).

Per finire, il dollaro dovrebbe rimanere in trading range nel secondo trimestre (1,10-1,13), dopo aver raggiunto il picco nei primi mesi dell’anno. A partire dal terzo trimestre, la divisa statunitense potrebbe indebolirsi ulteriormente, stanti le nostre aspettative che la Fed non consegni per intero la stretta monetaria che ha anticipato, e la possibilità che l’orientamento diventi più accomodante una volta che l'inflazione statunitense avrà iniziato a rallentare. Fino a quel momento, il potenziale di downside per l’euro resta limitato, vista l’aggressività manifestata dalla BCE da inizio febbraio. Da un punto di vista strategico, dunque, il trend per il dollaro è ora orientato al ribasso: il braccio di ferro fra Fed e BCE dovrebbe risolversi in favore dell’euro dal secondo semestre.


Crescita - Sulle spalle dei giganti


Il flusso di dati economici mostrava una tendenza costruttiva nei paesi sviluppati, prima dell'invasione dell'Ucraina:


​1)  I sondaggi sulla fiducia delle imprese ridimensionano i rischi derivanti dalla diffusione di Omicron. A febbraio, gli indici PMI compositi di Area Euro e Stati Uniti hanno sorpreso significativamente al rialzo. Colpisce il particolare il segnale positivo proveniente del settore dei servizi, più sensibile alla dinamica della pandemia, ma la fiducia è rimasta saldamente in territorio espansivo anche nel settore manifatturiero.


2)  I dati sul mercato del lavoro testimoniano la perdurante resilienza dell'attività domestica. Negli Stati Uniti, il tasso di disoccupazione è sceso di 0,2 punti percentuali al 3,8%, nonostante un ulteriore, solido incremento della forza lavoro (+304 mila unità), che ha spinto il tasso di partecipazione a un massimo post-pandemico del 62,3%. Con quest'ultimo guadagno, la forza lavoro si attesta su livelli inferiori di circa 600 mila unità rispetto alla situazione di febbraio 2020, mentre il tasso di partecipazione ha recuperato circa i due terzi del calo massimo registrato (3,1 punti percentuali), occorso durante i lockdown. Anche i dati sul mercato del lavoro in Area Euro restano forti: il tasso di disoccupazione ha raggiunto un nuovo minimo storico a 6,8%, mentre il tasso di partecipazione alla forza lavoro un nuovo massimo, 74,5%.


3)  I dati sull'uso delle carte di credito relativi al mese di marzo indicano una spesa sostenuta negli Stati Uniti. Le transazioni totali sono cresciute a un ritmo del 15% su base annua, e i dati confermano che i consumatori continuano a riorientare la spesa dai beni ai servizi. Le vendite al dettaglio relative al mese di febbraio hanno deluso le attese, ma a fronte di una massiccia revisione al rialzo del dato precedente.


Oltre ai segnali costruttivi sulla fase congiunturale emersi a inizio anno, diverse considerazioni suggeriscono che le economie dei paesi sviluppati si trovino in condizioni di grande solidità da un punto di vista strutturale. In particolare:


​​​​​​1)  Le prospettive per il consumatore americano restano costruttive. I lavoratori a basso reddito (ovvero, gli individui che percepiscono meno di 15 mila dollari all'anno) hanno bruciato i risparmi in eccesso accumulati dall'inizio della pandemia, ma la potenza di fuoco aggregata della spesa delle famiglie è ancora molto superiore rispetto ai livelli pre-Covid: circa l'80% dei cittadini americani che guadagnano fino a 110 mila dollari (240 milioni di persone) può infatti contare su 800 miliardi di dollari di risparmi in più. Questo importo rappresenta circa 1/3 dei risparmi aggiuntivi di circa 2500 miliardi di dollari accantonati fra il quarto trimestre del 2019 e il terzo trimestre del 2021.


​​Oltre allo stock di risparmi accumulati, è possibile individuare altri due fattori di supporto per i consumatori statunitensi, specie quelli a medio-basso reddito:

  • I guadagni nel reddito da lavoro stemperano l'impatto negativo dell'aumento dell'inflazione, specie per i lavoratori meno qualificati. Su questo fronte, due sviluppi sono degni di nota. In primo luogo, secondo i nostri calcoli, circa la metà dei posti di lavoro nel settore privato sono meglio pagati oggi in termini reali rispetto di quanto non lo fossero a febbraio 2021, e la maggior parte riguarda le fasce di popolazione meno abbienti. In secondo luogo, la nostra proxy del reddito da lavoro (costruita combinando buste paga, retribuzioni medie orarie e ore settimanali lavorate) mostra che gli apprezzamenti più significativi da settembre 2021 sono stati concentrati fra i lavoratori a basso reddito.​
  • L'effetto ricchezza è significativo. I prezzi di immobili e azioni sono saliti in modo considerevole rispetto ai livelli pre-pandemici. Quest'ultimo effetto è particolarmente rilevante per gli investitori retail, che probabilmente rientrano nelle fasce di popolazione a basso reddito. In diversi momenti, nel corso del 2021, questa categoria di operatori è arrivata a generare 1/3 dell'intero volume di trading transitato sul mercato azionario statunitense. Si tratta di una crescita ragguardevole: gli analisti stimano che nel 2021 gli investitori al dettaglio abbiano contribuito per il 23% al totale delle negoziazioni registrate sui mercati azionari USA, il doppio rispetto al 2019.


​​2)  L'economia statunitense raramente importa una recessione. Questo vale anche di fronte ai rischi derivanti da un aumento dei prezzi dell'energia, e in particolare del petrolio. Diversi analisti, infatti, identificano negli alti prezzi del petrolio un fattore che scatena recessioni. Tuttavia, a nostro avviso serve cautela nell'interpretare il nesso di causalità tra prezzi dell'energia e cicli economici.


Non c'è nulla di strano nel fatto che fasi di significativo rafforzamento dell'economia si traducano in prezzi del petrolio elevati. Il caso odierno non è un'eccezione: il petrolio ha imboccato un trend rialzista da settembre 2021, complice il processo di riapertura globale che si è sviluppato dopo lo shock pandemico. La decisione della Russia di invadere l'Ucraina ha solo gettato benzina sul fuoco, spingendo le quotazioni al rialzo fino a raggiungere il picco di 124 dollari al barile (Brent) l'8 marzo.


In realtà, stabilire con quale frequenza i prezzi del petrolio elevati provocano una recessione è un esercizio difficile. Occorre usare un approccio olistico. Secondo le nostre analisi, solo due delle ultime nove recessioni hanno avuto chiaramente come causa principale un'impennata del prezzo del petrolio: quelle registrate nel 1973 (OPEC I) e nel 1990 (Iraq I). La scorecard sulle recessioni che abbiamo costruito, e che si focalizza su diversi indicatori macro, segnala che l'economia statunitense non si è mai trovata in condizioni migliori di quelle odierne di fronte a un aumento sostenuto del prezzo del petrolio.


C'è un'ultima considerazione da fare. Pur non essendo analisti specializzati sulle materie prime, le stime sull'andamento del prezzo del petrolio devono essere valutate con un minimo di buon senso. In un contesto di condizioni invariate di domanda e offerta aggregate, il brusco apprezzamento provocato dall'esplosione del conflitto potrebbe anche essere facilmente riassorbito, come in parte è già accaduto: i prezzi di petrolio (WTI) e gas naturale attesi a dicembre 2022 sono schizzati rispettivamente a 97 USD/bbl e 5,3 USD/MMBtu l'8 marzo, per poi correggere a 88 USD/bbl e 4,9 USD/MMBtu il 17 marzo.


In questo contesto, le nostre aspettative sulla crescita restano inalterate:

  • negli Stati Uniti, l'economia dovrebbe espandersi a un ritmo del 3,5% nel 2022, con tassi di crescita sequenziali di 2,0% nel primo trimestre, 3,5% nel secondo, 2,5% nel terzo e 2,0% nel quarto trimestre;
  • in Area Euro, la crescita dovrebbe attestarsi al 2,2% nel 2022, con variazioni in termini sequenziali dello 0,6% nel primo trimestre, 0,2% nel secondo, 0,7% nel terzo e 1,1% nel quarto trimestre. ​


Inflazione - Ancora sulle montagne russe


L'escalation del conflitto fra Russia e Ucraina ha portato molta volatilità sul mercato delle materie prime energetiche. L'effetto diretto sugli indici dei prezzi al consumo passa attraverso il canale energetico, e in particolare attraverso i prezzi al dettaglio di benzina e gas naturale, che, combinati, rappresentano circa il 4,6% e il 7,3% dei panieri dell'inflazione negli Stati Uniti (CPI) e in Area Euro (HICP).


Rispetto alle stime formulate in occasione dell'ultimo aggiornamento, i prezzi dei futures hanno registrato una forte correzione: la quotazione del Brent spot è scesa del 10%, mentre la curva dei futures si è spostata verso il basso dell'8% per il contratto con scadenza dicembre 2022. Anche i futures sulle materie prime agricole (come grano e mais) hanno registrato un allentamento delle pressioni, il che indica rischi inflazionistici inferiori nel medio termine attraverso il canale dei beni alimentari.


Le nostre previsioni per il 2022 sono state riviste al ribasso. Incorporando questi sviluppi, e le novità rappresentate dalla pubblicazione delle ultime rilevazioni degli indici dei prezzi al consumo, le nostre stime sull'andamento dell'inflazione headline negli USA e in Area Euro sono diminuite in modo considerevole. Ci aspettiamo un picco all'8,1% negli Stati Uniti e al 6,9% in Area Euro nel mese di marzo, a fronte di stime precedenti di picco rispettivamente all'8,2% e al 7,1% in aprile per entrambe le aree. La media annua relativa all'intero 2022 scende al 6,6% negli USA e al 6,0% in Area Euro, contro stime precedenti del 7,3% e 6,3%.


Il nostro scenario base per il medio/lungo termine è invariato. Continuiamo ad aspettarci che le distorsioni sui prezzi al consumo provocate dalla pandemia e dalla guerra in Ucraina si affievoliscano con il graduale riassorbimento degli squilibri fra domanda e offerta. Questo dovrebbe consentire all'inflazione headline e core di mantenersi su un trend orientato verso i livelli pre-COVID per tutto l'orizzonte di previsione. Tuttavia, la fase di transizione potrebbe non svilupparsi in modo omogeneo, sia negli Stati Uniti che in Area Euro, e gli ultimi dati rinsaldano la nostra convinzione che i rischi per l'inflazione siano superiori in Area Euro.


I dati più recenti offrono alcuni spunti interessanti a questo proposito:​


1)  La transizione dai prezzi dei beni a quelli dei servizi continua. Negli Stati Uniti, l'inflazione core (ex cibo ed energia) è scesa di 0,1 punti percentuali a 0,5% mese/mese, restando sostanzialmente in linea con il tasso di crescita sequenziale registrato da ottobre. La lettura stabile, tuttavia, è il risultato di due forze contrapposte:


  • Da un lato, i prezzi dei beni core sono scesi dall'1,0% di gennaio allo 0,4% di febbraio, con la flessione in gran parte da ascrivere ai prezzi delle auto usate (-0,2% m/m a febbraio, contro +1,5% a gennaio).
  • Dall'altro, i prezzi dei servizi sono aumentati di 0,1% per la seconda volta consecutiva. L'aumento sequenziale è stato guidato dai prezzi degli alloggi e dei trasporti, mentre i servizi di assistenza medica sono diminuiti.


In prospettiva, i prezzi delle auto usate dovrebbero continuare a rallentare. Nel mese di gennaio, i prezzi delle auto usate sono saliti di un'impressionante 40,5% su base annua, sulla scorta dei forti aumenti mensili registrati l'anno scorso, riconducibili in parte alla carenza di chip per semiconduttori e a un effetto idiosincratico dell'uragano Ida, che ha ulteriormente limitato l'offerta. Nel 2021, la sola inflazione sulle auto usate ha contribuito per circa 130pb alla variazione annua dell'inflazione core. La buona notizia è che anche una piccola flessione dei prezzi potrebbe dedurre dall'indice più di quanto precedentemente stimato, in virtù del nuovo e più alto peso nel basket di beni/servizi oggetto di monitoraggio (5,2% contro 4,1% precedente).


Alcuni indicatori privati dei prezzi delle auto usate hanno già iniziato a segnalare un allentamento delle pressioni di recente. L'indice Manheim del valore dei veicoli usati, una misura dei prezzi all'ingrosso, ha imboccato una tendenza al ribasso e a febbraio ha registrato il primo calo mensile in sei mesi. La componente auto usate nell'indice dei prezzi al consumo segue generalmente con un ritardo di circa due mesi l'indice in questione, il che implica la possibilità di rilevazioni da piatte a negative nel prossimo futuro. Presi insieme, i dati suggeriscono che i prezzi delle auto usate potrebbero togliere un po' di pressione dall'inflazione core nel breve termine, tanto più in un momento in cui gli aumenti dei prezzi dell'energia e altri problemi dal lato dell'offerta manterranno probabilmente elevata l'inflazione complessiva.


Nel frattempo, sul fronte dei servizi core, ci aspettiamo che i prezzi dei beni non commerciabili si mantengano solidi nel 2022. Questo grazie all'inflazione sulla componente affitti/rendite, che dovrebbe restare forte, sostenuta dalla stabilità del reddito familiare e dai progressi sul mercato del lavoro.


Ciò detto, anche i prezzi degli alloggi potrebbero essere vicini al picco. Per due motivi: in primo luogo, all'interno della categoria, l'aumento sequenziale della componente affitti figurativi (che rappresenta il 74% di shelter inflation) è stabile a 0,4% mese/mese da settembre; in secondo luogo, gli indicatori anticipatori suggeriscono che a giugno potrebbe iniziare una fase di rallentamento.


Per quanto riguarda le altre voci del paniere dei servizi, una volta che i viaggi si saranno normalizzati, c'è spazio per un ulteriore miglioramento delle tariffe aeree. Alla stessa stregua, ci aspettiamo che i prezzi dei servizi medici continuino a diminuire con l'ulteriore ridimensionamento dei rischi connessi alla pandemia.​



2) Le pressioni salariali potrebbero aver iniziato ad allentarsi. Le retribuzioni medie orarie non sono cresciute a febbraio. Il dato su base annuale resta molto alto (+5,1%), ma quello mensile è stato di gran lunga inferiore alle aspettative del mercato, che prevedevano un aumento di +0,5%. Un'analisi dettagliata degli aggregati disponibili indica che la brusca decelerazione non può essere spiegata con le variazioni nella composizione dell'industria, o con le quote di lavoratori di produzione e di non sorveglianza.


Un mese non basta per definire un trend. Ma questo potrebbe essere un primo segno che l'aumento dell'offerta di lavoro, combinato con un significativo calo dell'assenteismo, sta aiutando a smorzare le pressioni salariali. Sarà necessario valutare altri dati prima di trarre una conclusione definitiva, ma l'indicazione offerta dalle retribuzioni orarie medie di febbraio supporta la nostra convinzione che nel secondo semestre, con il riequilibrio tra domanda e offerta di lavoro, l'inflazione salariale diminuirà.


3)  L'inflazione core in Area Euro resta molto solida. Le pressioni sui prezzi continuano ad ampliarsi. I dati di febbraio mostrano che sia i prezzi dei beni industriali non energetici che l'inflazione da servizi continuano ad accelerare. Mentre l'inflazione sui beni può essere volatile ed erratica prima di Pasqua, con la programmazione dei saldi di fine stagione, l'aumento delle pressioni sui prezzi dei servizi che è in corso merita una certa attenzione. Restiamo dell'idea che l'Area Euro sia uscita dallo shock pandemico con un'inflazione dei servizi "danneggiata", più degli Stati Uniti.




NOTA: Approfondimento presentato in occasione dell’ultimo Comitato Investimenti, tenutosi il 21/23 marzo 2022

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