Crisi Russia-Ucraina: il nostro punto di vista

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22.02.2022

Crisi Russia-Ucraina: il nostro punto di vista

La situazione è in rapida evoluzione, ma a nostro avviso un’invasione vera e propria dell’Ucraina non è nell’interesse della Russia, ed è probabile che l’Occidente continuerà a minimizzare la questione finché l’occupazione resterà limitata alla regione del Donbass, preferendo le sanzioni economiche a un’escalation militare.

​​​​​​Cosa sta accadendo al confine russo-ucraino


Lunedì 21 febbraio la crisi tra Russia e Ucraina si​​​​ è inaspettatamente inasprita. Dopo settimane di lavoro febbrile da parte delle diplomazie internazionali e un'alternanza impressionante di indiscrezioni e notizie contrastanti, il presidente russo Vladimir Putin ha riconosciuto con un decreto l'indipendenza delle repubbliche autoproclamate di Donetsk e Luhansk, nel Donbass, che formalmente fanno parte del territorio ucraino, ma dal 2014 sono occupate da separatisti filorussi appoggiati dal Cremlino.

In risposta all'appello delle autorità locali, Putin ha incaricato il ministero della Difesa di "distribuire le forze armate nei territori separatisti con funzioni di mantenimento della pace", aprendo le porte all'ingresso militare di Mosca nel territorio ucraino. La decisione (giustificata con un lungo discorso televisivo infarcito di forzature storiche e incentrato sulla presunta ass​enza di legittimità dello stato ucraino) rappresenta una violazione esplicita degli Accordi di Minsk del 2015, che stabilirono il ritorno delle due regioni ribelli all'Ucraina in cambio di maggiore autonomia, e ha provocato la ​reazione immediata della​ comunità internazionale: Stati Uniti e Unione Europea hanno annunciato nuove sanzioni nei confronti della Russia, e nella notte c'è stato un incontro molto teso del Consiglio di Sicurezza dell'ONU.

Gli obiettivi strategici di Putin sono noti: impedire l'espansione della NATO in Ucraina e più in generale limitare la presenza politica e militare dell'Occidente vicino ai confini russi (presenza che, al contrario, si è estesa moltissimo negli ultimi vent'anni); tuttavia, non è ancora chiaro se l'intervento in Donbass sia finalizzato a salvare la faccia e massimizzare il potere negoziale nelle trattative con l'Occidente, oppure rappresenti un passo avanti nel tentativo di riprendere il controllo di aree percepite come sotto l'area di influenza russa, arrivando potenzialmente a rovesciare il Governo ucraino filo-occidentale.

I precedenti storici non mancano. Nel 2008 la Russia intervenne in Georgia dopo che il Governo locale aveva avviato un'operazione militare contro un territorio che voleva allinearsi maggiormente alla Russia. Ma il richiamo più forte è ovviamente ai fatti del 2014, quando la Russia violò i confini ucraini e aprì una crisi che si concluse con l'annessione unilaterale della Crimea e l'inizio di una guerra civile nei territori orientali del paese, tuttora in corso.



La lezione delle storia​


L'episodio dell'occupazione militare della Crimea si sviluppò in due fasi, una “preparatoria" e interna tra il 22 gennaio e il 22 febbraio 2014 e una militare con il coinvolgimento diretto della Russia tra il 26 febbraio e 17 marzo. Ripercorrere gli eventi è sicuramente utile.

Alla fine del 2013, larghe manifestazioni di popolo (la cosiddetta Rivoluzione di Kiev) si sollevarono contro il governo del presidente filorusso Janukovyc, che aveva deciso di rinviare la firma di un Accordo di Associazione tra Ucraina e Unione Europea. Le tensioni interne durarono settimane per toccare il culmine tra il 22 gennaio e il 6 febbraio, quando iniziarono gli scontri armati tra manifestanti e polizia, e sfociare in strage il 18 febbraio: i morti sulle piazze furono 103 e il presidente Janukovyc, esautorato dal Parlamento ucraino, fuggì in Russia. Il 26 febbraio 2014, come reazione, l'esercito russo iniziò sotto false insegne l'occupazione militare della penisola di Crimea. Dopo pochi giorni, la regione era già sotto il controllo russo e l'escalation entrò in fase discendente per poi normalizzarsi l'11 marzo, quando si tenne il referendum che espresse unilateralmente l'indipendenza della Crimea dall'Ucraina (proclamata il 17 marzo). L'ultimo capitolo della storia fu l'approvazione di una risoluzione da parte dell'Assemblea Generale delle Nazioni Unite, con la quale il referendum fu dichiarato invalido. 



La Crimea è la penisola del mar Nero, collegata a nord con l'Ucraina e a est alla Federazione russa. Fonte: Wikipedia.org


La reazione dei mercati nel 2014


È possibile identificare tre fasi distinte: un primo momento di acutizzazione delle tensioni, tra il 22 gennaio e il 6 febbraio, quando la crisi era ancora ritenuta una questione interna; una seconda fase di rientro parziale della volatilità, e una terza fase, tra il 26 febbraio e il 17 marzo, con l'intervento dell'esercito russo e l'annessione della Crimea.

L'indice di volatilità, il VIX, registrò un massimo relativo nella prima fase (a quota 21 il 3 febbraio, +66%), per poi calare nella seconda e toccare un secondo picco il 14 marzo. L'oro registrò un'ascesa lineare del 12% e il brent raggiunse i 111 dollari al barile, per poi tornare sui livelli pre-crisi dal 17 marzo. I rendimenti di Bund e Treasury decennali calarono di 15-20bp fra 22 gennaio 17 marzo, mentre l'indice EUROSTOXX 50 iniziò a soffrire da fine gennaio (-6% tra il 22 gennaio e il 6 febbraio) e perse terreno anche durante la terza fase (-5% tra 26 febbraio e 14 marzo), per poi recuperare l'8% dal 15 marzo al 4 aprile. L'indice S&P 500 iniziò la correzione il 22 gennaio, cedendo poco meno del 6% entro il 6 febbraio, per poi recuperare circa il 7% entro il 17 marzo. Per contro, la borsa russa collassò del 12% tra il 22 gennaio e il 14 marzo. Le tensioni sul rublo iniziarono invece molto prima, già alla fine di dicembre, portando a un crollo contro dollaro di circa il 10% il 17 marzo.  In quell'occasione, valute rifugio come franco svizzero e yen giapponese registrarono apprezzamenti tutto sommato modesti, circa il 2-3%, così come l'indice del dollaro, che si mosse in modo laterale. In quell'occasione, le conseguenze economiche della crisi internazionale furono in gran parte a carico della Russia, che vide la Banca Centrale intervenire con aumenti dei tassi per contrastare il crollo della valuta e della borsa. Si registrò una temporanea interruzione delle forniture russe di gas all'Ucraina, ma quelle verso l'Europa non subirono interruzioni.



La reazione dei mercati fino a oggi


Curiosamente, la crisi in corso si gioca su una linea temporale che sembra ripercorrere l'episodio del 2014. Anche stavolta, l'escalation delle tensioni tra Russia e Ucraina sta avendo conseguenze rilevanti sui mercati finanziari. Se si considera come data di inizio delle tensioni l'11 febbraio (giorno in cui gli Stati Uniti hanno lanciato l'allarme su una possibile invasione dell'Ucraina), i movimenti osservati sono quelli tipici di una fase di risk-off:

  • l'oro è in rialzo del 4%, il brent del 7.5% (98.3 $/barile) e il gas naturale europeo (TTF) del 5%;
  • i rendimenti governativi sono in discesa, con il Bund decennale che registra un calo di 7bp e il Treasury con pari scadenza di 11bp;
  • l'Euro Stoxx 50 sta lasciando sul terreno poco più del 5% e l'S&P 500 circa il 3%, con il VIX che punta nuovamente verso quota 30;
  • gli asset russi sono stati severamente colpiti, con un calo di oltre il 21% per la borsa e di circa il 5% per il rublo nei confronti del dollaro (da fine ottobre 2021 – momento in cui si sono riaccese le tensioni – le variazioni sono rispettivamente di -32% e -12%)
  • le valute rifugio registrano modesti apprezzamenti (circa l'1% per lo yen rispetto al dollaro, e 1.5% per il franco svizzero rispetto all'euro), con il dollaro quasi invariato in termini trade weighted.​



La view di ANIMA​


A nostro avviso, un'invasione outright dell'Ucraina non è nell'interesse della Russia, per diverse ragioni:

  1. da un punto di vista di politica estera, pensiamo che il vero obiettivo di Putin sia evitare che l'Ucraina entri nella NATO, non creare un incidente diplomatico che ne giustifichi l'invasione;
  2. da un punto di vista di politica interna, riteniamo che Putin voglia usare la crisi ucraina per rafforzare la sua leadership. Una Russia forte ai propri confini è da sempre apprezzata dall'elettorato domestico;
  3. da un punto di vista militare-strategico, il Donbass non serve alla Russia: l'Ucraina è una piana, e arrivare a Kiev via terra dal confine russo o bielorusso sarebbe comunque agevole per Putin;
  4. invadere l'Ucraina rafforzerebbe Biden prima delle prossime elezioni di medio termine, che dovrebbero, con tutta probabilità, sancirne la debolezza interna.

Nello stesso tempo, il fronte politico occidentale non sembra così granitico. Nelle ore immediatamente successive all'ingresso delle truppe russe nei territori dell'Ucraina orientale occupati dai ribelli separatisti, gli Stati Uniti e l'Europa si stanno mostrando esitanti e incerti su come rispondere.

Gran parte delle prossime mosse dell'Occidente dipenderanno da come Stati Uniti ed Europa qualificheranno la mossa di Putin, ovvero se sarà considerata un'invasione vera e propria dell'Ucraina, oppure un'occupazione militare limitata ai soli territori separatisti.

Riteniamo probabile che sia l'amministrazione americana sia la maggior parte dei governi europei continueranno a minimizzare la questione. Quantomeno finché l'occupazione rimarrà limitata a territori che erano di fatto già controllati dalla Russia. D'altra parte, lo stesso governo ucraino definisce l'area “linea amministrativa".

Con queste premesse, manteniamo la convinzione che l'occidente preferirà procedere con sanzioni economiche piuttosto che dare seguito ad una escalation militare che arrivi a coinvolgere la NATO, o anche solo gli Stati Uniti. Al momento, dunque, una sorta di riedizione della crisi in Crimea del 2014 sembra lo scenario più verosimile.

Ciò detto, è importante sottolineare che i rischi di un'invasione vera e propria sarebbero molto seri. Gli Stati Uniti difficilmente potrebbero ignorarla, perché rischierebbero di perdere credibilità su due fronti di politica estera ai quali sono molto sensibili per considerazione strategiche e geopolitiche di breve e medio termine. Da un lato, infatti, apparirebbero incapaci di difendere i confini NATO (la Polonia, altamente anti-Russia, si troverebbe le truppe di Putin al confine). Dall'altro, darebbero un segnale di grande debolezza alla Cina sulla questione Taiwan. Se questo scenario dovesse materializzarsi, la NATO, o quantomeno gli Stati Uniti, sarebbero costretti a rispondere duramente, con ramificazioni sicuramente molto serie, ma oggi anche molto difficili da prevedere.​

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