Petrolio, cosa sta succedendo?

Investment Advisory

20.11.2018

Petrolio, cosa sta succedendo?

Il 4 ottobre il prezzo del petrolio ha raggiunto i massimi da fine 2014, per poi precipitare rovinosamente cedendo il 30%. Al lavoro sia fattori tecnici che fondamentali.
​​​Nelle ultime settimane le aspettative degli investitori sull'andamento del mercato del greggio sono drasticamente cambiate. Il peggioramento del sentiment è ben rappresentato dalle dodici sedute consecutive di calo delle quotazioni registrate fra fine ottobre e inizio novembre, un record assoluto dall'avvio delle negoziazioni sul future WTI nel 1983.

Le ragioni addotte per giustificare il movimento sono numerose.

La prima sono gli sviluppi dal lato dell'offerta, con un deciso potenziamento dell'attività estrattiva su scala globale. Negli ultimi due mesi, in particolare, la produzione di greggio negli USA ha subito un'accelerazione significativa, raggiungendo in agosto gli 11.4 milioni di barili al giorno (2.1 in più rispetto allo stesso mese del 2017). Anche il cartello OPEC+, dopo aver rivisto il target di produzione a giugno, ha spinto il piede sull'acceleratore: il mese scorso l'attività estrattiva ha raggiunto i massimi storici sia in Arabia Saudita che nella Russia dell'era post-sovietica e la produzione libica è salita più velocemente del previsto per l'attenuazione delle minacce alla sicurezza interna.

Le pressioni sull'oro nero si sono intensificate con la decisione dell'Amministrazione Trump di esentare otto paesi dal divieto di acquistare petrolio dall'Iran, colpito dalla reintroduzione delle sanzioni dopo l'abbandono dell'accordo sul nucleare da parte degli USA. La prospettiva di un drastico calo della produzione iraniana era stata un catalist importante dell'aumento del prezzo del petrolio da metà agosto a fine ottobre. La concessione di deroghe rilevanti (Cina e Turchia, fra gli altri) ha invece dimostrato che le considerazioni di opportunità politica e il desiderio di contenere le pressioni al rialzo sul prezzo dei combustibili sono prioritari per gli USA rispetto all'obiettivo di penalizzare l'Iran.

Il tracollo delle quotazioni del greggio, tuttavia, non si giustifica solo con le evidenze di un aumento dell'offerta superiore alle attese, ma anche con le aspettative di indebolimento della domanda, per effetto del rallentamento della crescita globale. Negli ultimi tre mesi, l'OPEC ha ripetutamente tagliato le stime sul tasso di crescita della domanda di petrolio, sia per il 2018 che per il 2019, e si aspetta un'accelerazione significativa nel processo di accumulazione delle scorte a partire dal primo trimestre del 2019.

Un ruolo importante nella correzione, infine, hanno avuto anche fattori tecnici. Il crollo del 7% del 13 novembre, per esempio, è stato alimentato da una massiccia ondata di vendite di futures da parte di broker che hanno dovuto gestire l'inatteso esercizio di corposi pacchetti di opzioni in scadenza quel giorno. Forti pressioni sono arrivate anche dalla liquidazione delle posizioni speculative lunghe, che avevano raggiunto nella prima metà dell'anno il livello più alto di sempre e sono state dimezzate in meno di sei settimane.

Stante la violenza del movimento registrato, la risposta dell'OPEC non si è fatta attendere: la riunione della Commissione Ministeriale di inizio novembre si è chiusa con la decisione dell'Arabia Saudita di tagliare la produzione di mezzo milione di barili al giorno e secondo indiscrezioni di stampa un ulteriore taglio di 1 mln di barili dovrebbe essere formalizzato al Meeting di Vienna del 6 dicembre. Le posizioni di Russia e Libia, tuttavia, non sono chiare e la decisione non è scontata.

La scelta del Cartello, insieme con l'esito dell'incontro fra Trump e il Premier cinese Xi Jinping a fine mese, sarà il driver più importante per il mercato del greggio nel breve periodo. L'entità del sell-off e il posizionamento molto più bilanciato degli investitori lasciano presagire una stabilizzazione. 

Prezzo del petrolio, future WTI



Fonte: elaborazione ANIMA su dati Bloomberg

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