Brexit, firmato il "divorzio amichevole"

Investment Advisory

19.01.2021

Brexit, firmato il "divorzio amichevole"

Regno Unito e Unione Europea hanno trovato in extremis un compromesso e il processo di Brexit si è formalmente concluso. Ma le sue conseguenze per l’economia saranno profonde e durature.

​Dopo nove mesi di intensi negoziati e diverse scadenze posticipate e disattese, la vigilia di Natale Londra e Bruxelles hanno raggiunto un accordo che disciplina le relazioni bilaterali dal 1 gennaio 2021 (EU-UK Trade and Cooperation Agreement).

Si tratta senza dubbio di un traguardo importante: in assenza di un compromesso, il Regno Unito sarebbe uscito dall'Unione Europea in modo disordinato e le relazioni commerciali sarebbero state regolate dalle norme dell'Organizzazione Mondiale del Commercio, con gravi conseguenze per l'economia britannica e quella dei paesi europei più esposti. La rimozione di un fattore di incertezza che ha depresso la fiducia di consumatori, imprese e investitori per oltre quattro anni avrà senz'altro un impatto positivo. Tuttavia, i toni entusiastici del premier Boris Johnson non devono ingannare: i termini dell'intesa sono molto scarni, diverse questioni di cruciale importanza non sono state affrontate e il Regno Unito ha lasciato l'Unione Doganale Europea, sicché di fatto si è materializzata quella che a lungo è stata identificata come ​Hard Brexit.


In particolare, sul piano commerciale l'accordo consente agli operatori di negoziare liberamente le merci senza dazi o contingenti, ma il ripristino delle frontiere comporta un sensibile aumento delle barriere non tariffarie, con la reintroduzione degli adempimenti doganali e la divergenza nei processi di certificazione d'origine, riconoscimento di conformità, registrazione e protezione dei marchi. Sul tema delle risorse ittiche, di scarsa rilevanza economica ma fortemente politicizzato, è prevista una riduzione del 25% del pescato delle imbarcazioni europee in acque britanniche entro cinque anni e mezzo, con successiva rinegoziazione dei limiti su base annua.


Il settore dei servizi, che nel 2019 ha rappresentato il 43% dell'export britannico verso l'UE, è stato di fatto escluso dall'accordo: le imprese britanniche hanno perso l'accesso al mercato unico europeo e non è previsto il mutuo riconoscimento delle qualificazioni professionali. Sul fronte dei servizi finanziari, in particolare, viene incoraggiata la stipulazione di un Memorandum of understanding per la cooperazione regolamentare, ma il grado di reciproco accesso ai mercati sarà stabilito in modo unilaterale dalle autorità nazionali e progressi significativi sul piano dell'integrazione sono improbabili, considerando la volontà europea di ridurre la dipendenza da piazze finanziarie offshore.


I due punti aggiuntivi rispetto al tema della pesca su cui le negoziazioni si sono a lungo arenate sono il cosiddetto level playing field (ovvero, le regole per ridurre i rischi di concorrenza sleale, ad esempio attraverso un allentamento della normativa o pratiche più generose sugli aiuti di stato) e i meccanismi di risoluzione delle controversie. Le due parti si sono impegnate a rispettare standard minimi in materia ambientale, fiscale e sul fronte dei diritti sociali e dei lavoratori. Le eventuali dispute che dovessero emergere saranno valutate in modo vincolante, snello e veloce da un organo arbitrale appositamente istituito, misto e indipendente, che potrà anche disporre di misure ritorsive a titolo di compensazione.


Per quanto riguarda la circolazione delle persone sarà necessario ottenere un visto per soggiorni continuativi superiori a 90 giorni e disporre di una copertura sanitaria privata. La nuova legge britannica sull'immigrazione renderà molto più difficile l'accesso al paese per i lavoratori non qualificati.


Le ricadute negative della Brexit per l'economia saranno importanti. Secondo diversi studi, il Regno Unito ha già perso oltre il 3% del PIL da giugno 2016 rispetto all'ipotesi di permanenza nell'UE, e la Bank of England stima che un altro punto percentuale verrà lasciato sul campo nel primo trimestre del 2021, per gli aggiustamenti indotti dal cambio di regime. Più a lungo termine, le stime che circolavano prima del referendum sugli impatti di una Hard Brexit (un calo del PIL del 5-10% in dieci anni) appaiono realistiche, visti gli effetti negativi di una molteplicità di fattori: fra gli altri, il rallentamento del commercio internazionale, la ri-localizzazione di alcune attività produttive ad alto valore aggiunto in UE, l'indebolimento degli investimenti e il calo della produttività. 

L'ordine di grandezza dipenderà anche dal modo in cui il Regno Unito deciderà di gestire la riconquistata sovranità, sia in termini di effettiva applicazione delle norme, che di scelte dei tanti comitati impegnati a dare sostanza alle dichiarazioni di principio: la cornice che è stata definita potrebbe evolvere verso una maggiore integrazione, come nel caso della Norvegia, o un ulteriore allentamento dei legami, secondo il modello australiano.  


L'impatto negativo della Brexit per l'Unione Europea sarà molto più contenuto, stante la minore esposizione dei diversi paesi membri (le esportazioni verso il Regno Unito non hanno superato il 7% del totale nel 2019, con punte del 13% per l'Irlanda e del 10% per i Paesi Bassi). Modeste anche le ripercussioni politiche: i timori che l'esempio britannico potesse essere seguito da altri stati si sono allentati, complici le evidenze sempre più lampanti dei costi elevati della separazione e gli importanti progressi realizzati in direzione di un rafforzamento dell'integrazione europea.


Performance dei mercati azionari dopo il referendum sulla Brexit (31/5/2016-31/12/2020)


 

 Fonte: elaborazione ANIMA su dati Bloomberg​


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